Questa mattina, mercoledì 11 dicembre, si è celebrata una elezione storica: Marta Cartabia è la nuova presidente della Corte Costituzionale. Per la Consulta è la prima volta: mai fino ad oggi, la Corte aveva avuto al suo vertice una donna.
Una grande conquista in un paese ancora dominato dal sessismo e che vede un gender gap elevatissimo anche e soprattutto nelle poltrone chiave della vita politica, economica e istituzionale.
Ma non è tutto oro quello che luccica e sulle idee della neo presidente Cartabia in merito alla comunità Lgbt+ avevamo scritto ad agosto, quando era entrata nel toto nomi per la carica di Presidente del Consiglio.
UNA DONNA SULLO SCRANNO PIÙ ALTO. MA PER POCO
Marta Cartabia è diventata presidente della Corte Costituzionale con un plebiscito: 14 voti favorevoli su 15 votanti. L’unica scheda bianca è stata la sua.
Il mandato di Cartabia, però, è destinato a durare poco meno di un anno. Ogni giudice della Consulta rimane in carica per massimo nove anni e Cartabia è stata eletta il 13 settembre 2011 da Giorgio Napolitano e decadrà quindi il 13 settembre del 2020.
Per la cronaca: Marta Cartabia è anche la più giovane a essere eletta alla presidenza della Corte Costituzionale: ha 56 anni.
MARTA CARTABIA E LA COMUNITÀ LGBT+
Come evidenziato già ad agosto la vicinanza della neo presidente Cartabia a Comunione e Liberazione non è mai stata un mistero. Come un mistero non è mai stata la sua posizione nei confronti del matrimonio egualitario: contraria senza appello.
Questo orientamento è facilmente desumibile dal commento, lapidario, che Cartabia rilasciò alla notizia che lo stato di New York aveva deciso di estendere il matrimonio anche alle coppie dello stesso sesso. Era il 2011 e Cartabia affermava: «Non esulto per questa decisione. È vero che nel passato ci sono state molte legislazioni e costumi sociali aspri e inospitali verso gli omosessuali, se non addirittura impietosamente discriminatori – scriveva all’indomani della nuova legge la stessa Cartabia su “Il Sussidiario” – (…). Tuttavia, altro è discriminare altro è mantenere delle distinzioni: non ogni differenziazione è discriminazione». «Mantenere su un piano distinto il matrimonio e la famiglia rispetto ad altre forme di convivenza è discriminare o operare distinzioni?» si chiedeva la giudice spiegando di non esultare per la decisione dei colleghi statunitensi.
Rilanciamo la chiusa dell’articolo di agosto: «Dal 2011 ad oggi la giudice Cartabia avrà cambiato idea? O rischiamo che la prima donna presidente della Consulta sia, di fatto, su posizioni omofobiche?»