Di Fiorello ho sempre avuto una buona stima e bei ricordi. Dal suo successo al Karaoke fino a poco prima di Sanremo dello scorso anno. In occasione della polemica che travolse Amadeus sulle donne che sanno stare un passo indietro. Il presentatore venne accusato di sessismo. E lui cominciò a declinare col suffisso -ismo qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, da “manismo” a “fiorismo” e altri orrori lessicali inventati lì, ad uso e consumo di una comicità dal sapore stantio. Ieri, alla nuova edizione del festival, abbiamo potuto assistere a una serie di sketch di cui non si sentiva alcuna necessità. Perché dico questo?
Le battute di Fiorello sul culo
Cominciamo con l’ouverture. Vediamo un Fiorello scendere dai “famigerati” gradini dell’Ariston – temuti dalle presentatrici e dalle cantanti che devono percorrerli con i tacchi alti – en travesti. Una mise che dovrebbe alludere al trasformismo di Achille Lauro, ma che ricorda molto il solito caricaturismo in cui il gioco tra i generi – che può avere anche una dimensione politica – è ridotto a macchiettistico divertissement. Quindi, lo showman è andato avanti con battute poco felici sul culo, sull’anulo (il quarto dito del piede, pericolosamente vicino alla parola ano), ammiccamenti e faccine che ricordano la solita narrazione ridicolizzante. Indovinate su chi?
La stoccata su Achille Lauro
E ancora non risparmia il già citato Achille Lauro, quando afferma: «Dice di essere sessualmente tutto? A me basta essere la metà». Ne siamo felici per lui, ma non era un’informazione necessaria ai fini di una buona tenuta del festival. Terribile, infine, e da dimenticare il siparietto in cui balla la lambada con Amadeus, in cui pare ammiccare alla sessualità tra uomini. Ma, al solito, per ridicolizzarla. E mentre queste scene andavano in mondovisione, regalando il peggio di una virilità che per sentirsi tale ha bisogno premere l’acceleratore sui soliti cliché, mi chiedevo se fossi io il problema. Mi sono chiesto, in buona sostanza, se mi fossi talmente radicalizzato da vedere a tutti i costi il male laddove non c’era o se quelle criticità fossero tutte lì, col loro inutile eccesso.
Mossette tra maschi etero
Mi è bastato scorrere la mia bolla, per caso, per capire che la sensazione non era solo mia. Citerò due persone amiche, entrambe impegnate nell’associazionismo Lgbt. L’attivista Alessia Crocini, in primo luogo, che scriveva sul suo profilo: «Una gag sui gay? Una battuta sul sesso anale? Un doppio senso? Due mossette tra maschi etero che temono di passare per gay? Una finta scheccata? Una toccata di pisello con risatina annessa? Non ce ne fanno un’altra decina prima di andare a dormire?». E quindi, Giziana Vetrano, portavoce del Torino Pride, che faceva notare la natura di quelle battute «a doppio senso da b-movie», da «sfottò sui gay che nemmeno più nei bar». No, non era una mia impressione.
La differenza tra ridere con e ridere di qualcuno
Ora, io non appartengo a quella sfera di persone interne alla comunità che pensano che solo un gay possa fare battute sui gay. La battuta – se intelligente e arguta – può aiutare a vedere aspetti di noi che dall’interno è difficile cogliere. Prendere “di mira” una categoria per indicarne vizi ed eccessi fa parte della missione della satira. La comicità, più in generale, può aiutarci a ridere con la categoria in questione. E ridere di sé a volte è liberatorio. Ci umanizza, ci aiuta a prenderci meno sul serio e può conferire leggerezza alle nostre esistenze. Pensiamo a I Simpson o a South Park, dove non si risparmiava nessuno. Ma si rideva, appunto, con le categorie rappresentate e non di esse. Ridere è un conto. Deridere, invece…
Fiorello fa il verso all’omosessualità?
Nella “comicità” di Fiorello non c’è nulla di tutto ciò. Non c’è nemmeno comicità, a dire il vero. Sembra di trovarsi invece – e Amadeus, permettetemi ridotto a spalla incerta tra l’imbarazzato e il divertito non è stato uno spettacolo tra i più edificanti – di fronte a due uomini di mezza età che per esorcizzare paure ataviche, forse (come già accennato) quella dell’omosessualità, facevano il verso a quest’ultima. Senza mai citarla, ok. Ma il sottotesto sembra abbastanza evidente. Ed è triste. È triste pensare che Fiorello, all’età di sessant’anni, abbia scoperto che col termine “culo” si può tirare avanti un’intera puntata di un evento come Sanremo. Chissà quanto gli ci vorrà per capire che quelle battute non fanno ridere più nessuno. Nessuno che non abbia eletto la volgarità come propria cifra comunicativa, per lo meno.