Due o tre cose vorrei dire su Alessandro S., il ragazzo appartenente ad una comunità evangelica di Palermo che ha dato testimonianza di sé e della sua “guarigione” dall’omosessualità grazie all’intervento di Dio. Il video del suo enfatico discorso ha fatto il giro di Facebook e non lo riproporremo, per scelta. Premettiamo, sin d’ora, che ci troviamo esattamente di fronte alla differenza, tutta pirandelliana, tra “umorismo” e “comicità”. Vediamo perché.
Sentire la storia di Alessandro
Facciamo un passo indietro: la storia della donna di una certa età che per compiacere il giovane marito si agghinda come una ragazza, andandoci pesante col trucco e i gioielli, dovrebbe essere ben nota. L’autore siciliano ci spiega che a un primo sguardo la cosa ci farebbe ridere, per il ridicolo che suscita, dopo di che ci fa riflettere per la sofferenza che nasconde quella contraddizione del reale. Dalla percezione del “contrario”, quindi, al suo sentimento. La storia di Alessandro andrebbe letta proprio così: sentendo cosa ha da dirci.
Una sofferenza interiore che andrebbe compresa
Adesso, io sono pure d’accordo con chi pensa che un giovane che arriva a diciannove anni, recitando quella sequela di enormità su quanto Dio possa riempirti — citando più volte il padre di fatto assente dalla sua vita e una madre che nel migliore dei casi parrebbe incapace di ascoltare il disagio del figlio, alimentandolo per altro — abbia, con ogni evidenza, un enorme problema che andrebbe affrontato nello studio di un bravo professionista. Eppure questo dimostra, ancora una volta, una sofferenza interiore che andrebbe compresa e che invece è diventata a sua volta il tiro al bersaglio di chi ha ironizzato, anche ferocemente, sulla storia di questo ragazzo.
Un ragazzo rifiutato da tutti è divertente?
Alessandro, con ogni probabilità, è un ragazzo che non è mai stato accettato, che è stato rifiutato, o così deve essersi sentito: prima dal padre, che ha abbandonato la sua famiglia. Quindi dalla figura materna, che pregava e piangeva ogni giorno affinché egli “guarisse”. Ancora: dalla sua comunità di riferimento, dato che si evince dal suo racconto che si sentiva marginalizzato quando andava in chiesa e aveva paura delle riunioni, anche queste a sfondo religioso come (traspare), della madre con le sorelle. In un contesto di solitudine, così irriducibile, e di violenza — sentirsi ogni giorno come un corpo estraneo, perché così ti tratta il tuo mondo, è violenza — questo ragazzo ha trovato un’unica via d’uscita: rinnegare se stesso. Siamo sicuri che sia così divertente?
Il modo “giusto” di essere maschi
In questo quadro di costante abbandono, Alessandro è stato lasciato solo anche dalla comunità Lgbt. Certo, una persona che si espone pubblicamente parlando di guarigione dall’essere gay, scomodando Satana e millantando improbabili miracoli, fa prudere le mani, convengo. Ma ciò non giustifica gli insulti, le battute feroci, l’ironia gratuita sulla sua effeminatezza, per fare un solo esempio. Perché ridere di lui perché incarna, nelle movenze, un modello poco virile ci pone sullo stesso piano culturale di chi esultava, durante il suo discorso, per le sue parole di “conversione”. E una delle cause dell’odio verso l’omosessualità è proprio l’allontanamento dal “modo giusto” di essere maschi.
Una scelta discutibile
La scelta di Alessandro, sia ben chiaro, è discutibile e andrebbe discussa. Appunto. Andrebbe fatto notare come gli applausi che ha preso, con tanto di braccia elevate a Dio, sono in direzione di una negazione del sé e che, questo sì, potrebbe essere visto come “diabolico”. E questa cosa andrebbe fatta notare anche a quel diciannovenne che, a un occhio anche poco attento, sembra essersi imbattuto nell’ennesimo percorso di sofferenza. Più che ad una conversione, infatti, assistiamo ad una inversione rispetto all’essere se stessi in modo integro, consapevole e soprattutto sereno. Lo si vede in quel lapsus, e Freud avrà sorriso lassù nel regno dei cieli, quando Alessandro ha detto che aveva pregato contro lo Spirito, associandolo in modo inconscio a quel demonio da cui, dice, è riuscito a liberarsi.
Due platee molto simili tra loro
Questo è molto altro, andrebbe detto. E invece si sente l’eco, anche dentro la nostra comunità, di battutacce che denunciano solo molta omofobia interiorizzata, mancanza di empatia e nessun “sentire” di quella contraddizione a cui si accennava. Un atteggiamento che è speculare alle lodi e agli applausi degli evangelici per quella conversione. Non si dovrebbe mai applaudire o ridere di fronte alla sofferenza, perché è un atto disumano. In quella platea e poi su Facebook, in reazione a essa, è successo grosso modo la stessa cosa. Forse dovremmo fermarci un attimo e riflettere su tutto questo.