Ieri, in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia, la transfobia, la lesbofobia e la bifobia, l’Unar e il Dipartimento per le Pari Opportunità hanno diffuso uno spot video.
Trentuno secondi in cui si citano diverse fobie mostrando le definizioni del dizionario: la chaetofobia (paura di peli e capelli), la hilofobia (paura di alberi e arbusti), la cromatofobia (paura dei colori) e infine l’omofobia. “Paura irrazionale dell’omosessualità”, si legge. Su “omofobia” compare una x rossa per dire, se ne deduce, che le altre fobie sono accettabili, ma l’omofobia no.
Al netto della mancanza di riferimenti alle persone trans, bisessuali e lesbiche, l’odio verso i gay è messo sullo stesso piano della paura della chioma fluente di una bella ragazza, senza neanche dare visibilità ad una persona o una coppia omosessuale.
Fredda e critica la reazione sui social. Non solo spot non è stato condiviso sulle pagine delle principali associazioni lgbt+, ma neanche i singoli utenti e attivisti appaiono entusiasti.
Basta fare un giro sotto il post del sottosegretario Vincenzo Spadafora, che ha la delega alle Pari opportunità, per averne contezza.
“Vincenzo, Vincenzino bello… davanti a questo video c’è da avere vergogna per l’imbarazzo omofobico che trasmette – scrive Roberto Mauri -. Si vedono capelli e piante ma non c’è un gay, non c’è una lesbica né una persona trans. Questo governo non ha interesse a lottare contro l’omofobia, pubblica lo spot solo perché non può non farlo”.
“C’è un errore di fondo. Per nulla banale – commenta Mariska Albertazzi -. La paura dei capelli non ha matrice sociale, non è dovuta ad uno stigma che si è protratto nel tempo. Le persone che hanno paura dei capelli, non offendono chi li ha, non li picchiano, non li insultano, non li discriminano. Chi teme gli alberi, non va in giro a scrivere striscioni infamanti su di loro, non li evita per strada, non li sradica e non li accoltella. Ma perché, dico io, perché non chiedete la consulenza di almeno una delle tante associazioni che si occupano di questo tema, quando dovete spendere soldi pubblici per fare uno spot? Uno spot assolutamente INUTILE?”.
E ancora: “Utilissimo per imparare parole nuove. Davvero è questo il video contro l’omofobia che dovrebbe sensibilizzare l’opinione pubblica? Ma voi scherzate” è il parere di Adriana Mattei. Oppure: “E siete tanto omofobi che avete evitato anche l’immagine illustrativa, come avete fatto con ”colori” e ”alberi”. Google non vi ha dato niente?” chiede retorico Paolo Portaluri.
Anche con le condivisioni non va benissimo. Molte quelle che non aggiungono alcun commento, ma anche quelle che contestano lo spot.
“Il bellissimo nonsense di non mostrare persone omosessuali in una campagna contro l’omofobia, come se la visibilità non fosse il primo passo per sconfiggerla – scrive Valerio Colomasi Battaglia, membro del direttivo del Circolo Mario Mieli di Roma -. Temo che la “paura irrazionale dell’omosessualità” abbia avuto la meglio sullo spot e non siano riusciti a mettere nemmeno un fotogramma con due ragazzi che si davano un casto bacino sulla guancia. Era meglio la Carfagna”.
“Tremate omofobi – è il commento di Alessia Crocini, referente di Famiglie Arcobaleno per Lazio-Abruzzo-Sardegna -! Attenzione: nessuna persona omosessuale, trans, lesbica, bisessuale, asessuale, è stata usata per realizzare questo spot.
Mi immagino il brief: dovete fare uno spot contro l’omofobia ma mi raccomando non vi venisse in mente di mostrare persone LGBT+ in coppia o single di qualunque età e in qualunque atteggiamento”.
Insomma, un’occasione persa. Peccato.
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