“Meglio un “mojito” davanti che due “negroni” dietro”. L’avviso, scritto su una lavagnetta, accoglie gli avventori che si accingono ad ordinare un drink alla “Mojiteria”, a Bari. Fra risate e fiumi di alcol, per tanti anni quel messaggio ha svettato indisturbato fino a quando non è stato notato e denunciato su Facebook da Michele Ciavarella, un attivista lgbt.
“Immaginate un ragazzino […]Â gay che stia facendo di tutto per parlarne coi suoi amici -spiega Ciavarella-. Tormentato, fragile, insicuro. Immaginate che questo ragazzino, una sera, venga nel vostro locale assieme a loro, i suoi amici, i quali, leggendo il vostro “divertentissimo” slogan, cominciano a ridere di gusto davanti a lui. Quelle risate, per quel ragazzino, saranno coltelli conficcati nel cuore”.
I commentatori si dividono: alcuni ci leggono  solo di un “commento sarcastico”, invitando a riderci su, secondo altri, la frase sottintende un messaggio omofobico, se non razzista. I gestori della Mojiteria non ci stanno e, sollecitati, hanno spiegato a Gaypost.it la loro posizione: “Non c’è nessun tipo di discriminazione, nè di omofobia”, il locale è aperto a “tutti”.  Anche perchĂ© – aggiungeno, sottolineando i rispettabili scopi commerciali- “alla fine siamo lì per lavorare, quindi non ci poniamo nessun limite”.  Rimuoverlo? Neanche a dirlo: “è un pensiero espresso in totale sarcasmo” -chiariscono- e legalmente “non incorriamo in nessuna sanzione, nè provvedimento penale”.
Non sappiamo se tale frase sia legalmente sanzionabile o meno, e, francamente, la consideriamo una discussione poco avvincente. Siamo convinti della buona fede del gestore del locale quando dice che non vuole discriminare nessuno, che il suo locale è aperto a tutti i tipi di persone e che quel messaggio fosse motivato dalla voglia di riderci su. Eppure, a prescindere da questo, crediamo che le parole su quella lavagnetta veicolino alcuni stereotipi che sarebbe meglio smontare. Da una parte un agito sessuale visto come specifico dei gay e dipinto ancora come qualcosa di sconveniente o di moralmente reprensibile. Dall’altra, i soliti luoghi comuni fallocentrici sui neri.
L’agire con leggerezza, la non intenzione di arrecare danno, finanche la libertĂ giuridica non ci sollevano dal ricordare come le parole, a volte taglienti come lame, disegnino e corroborino l’immagine del mondo che ci circonda.
Crediamo, infine, che sia meglio – come dice Michele, il giovane attivista che ha sollevato la questione – ridere insieme alle persone invece che ridere delle persone. Perché sta in questa discrepanza l’esatto discrimine tra sorriso complice e inclusivo e derisione, che invece esclude. Forse questa storia può aiutarci, un po’ tutti, a riflettere su questi aspetti.