Leggo da qualche giorno una certa insofferenza da parte di singoli esponenti di un noto partito governativo contro le associazioni lgbt della capitale, ree di aver scritto una lettera a Virginia Raggi affinché si prodighi a far rispettare la legge sulle unioni civili – e, se mi si perdona un inciso personale: cara sindaca sarebbe anche l’ora che lei dimostrasse di essere la prima cittadina dell’intera comunità romana e non solo di una sua parte, che il grido di “onestà” dovrebbe includere anche quella intellettuale – e perché la città di Roma diventi capofila di un movimento di rinnovato civismo che abbia come obiettivo il matrimonio egualitario.
Ascoltando le motivazioni e le vibranti proteste dei detrattori di questa lettera, emergono una serie di elementi critici che è il caso di enucleare singolarmente:
1. il messaggio inviato all’esponente pentastellata sarebbe troppo morbido, contrariamente a quanto fatto fino ad ora nei confronti del maggior partito di governo e del suo leader verso il quale, si legge, sono volati più volte insulti e addirittura minacce;
2. non si comprende come mai le associazioni in questione si siano rivolte proprio a Raggi e non ad altri sindaci più rinomatamente gay-friendly, per portare avanti l’istanza del matrimonio;
3. questo atteggiamento è indicativo di un certo collateralismo tra associazioni e partiti e, nello specifico, tra quelle associazioni e M5S verso il quale ci si sta appiattendo per il semplice gusto di rimanere all’opposizione
4. il collateralismo con il M5S è incomprensibile per un movimento che dovrebbe mantenersi indipendente e che, guarda caso, se dovesse scegliere un partito con cui allearsi dovrebbe essere quello di governo.
A chiudere il cerchio, la solita critica contro le rappresentanze arcobaleno che vengono dipinte – esattamente come è già successo nei confronti di sindacati e altre associazioni di settore – come nemiche dei soggetti che dovrebbero rappresentare.
Credo che occorra riprendere i quattro punti di cui sopra, sia per rasserenare le coscienze di chi si mostra annichilito al cospetto di tali questioni, sia per fare un favore alla logica, troppo spesso maltrattata in casi come questi. E anche qui, nell’ordine:
1. non si ha memoria di minacce e di insulti nei confronti del premier e del maggior partito di governo da parte di associazioni come Famiglie Arcobaleno, Certi Diritti, Gaynet, il circolo Mario Mieli, Anddos e tutte le altre che hanno firmato il documento alla sindaca Raggi. Qualora dovessero esser stati prodotti, si hanno in mano gli strumenti legali opportuni, ma occorrerebbe avere prima le prove di tali accuse se non si vuole essere tacciati di cialtroneria;
2. le associazioni romane si sono rivolte alla sindaca Raggi perché, per una curiosa combinazione di eventi, è la prima cittadina della città di Roma. Così come le associazioni milanesi si rivolgono a Sala, quelle torinesi ad Appendino e via dicendo. Discorso forse un po’ complesso, per certe tifoserie, ma non certo difficile da interiorizzare;
3 e 4. premesso che le accuse di collateralismo andrebbero dimostrate con fatti alla mano – e quindi che vengano prodotti quei documenti ufficiali in cui si evince, nero su bianco, che l’associazione X è consustanziale al partito di Grillo e che la realtà Y prende ordini da Di Maio, sempre che non si voglia essere tacciati, ancora, di essere cialtroni – e dando per scontato che la critica a chi vota in modo difforme al nostro sistema di pensiero rientra nella logica democratica, dovrebbero chiedersi certi esponenti dei partiti al governo come mai una fetta (a sentir loro) consistente del movimento e della comunità Lgbt non si senta rappresentata da chi ha fatto leggi spacciate per rivoluzionarie ma che poi, a ben guardare, sono vecchie di trent’anni e arrivano tardi e male.
E, ancora, a chi si domanda chi rappresentano associazioni come Famiglie Arcobaleno o il Mieli, giusto per citarne due, potrei suggerire: le famiglie omogenitoriali che – grazie al via libera di alcuni partiti alle componenti cattoliche al loro interno e grazie all’insipienza politica di altri che obbediscono a provvidenziali sms notturni – non vedono riconosciuti i diritti dei loro bambini e delle loro bambine, ad esempio; o quelle persone che, pur riconoscendo un passo avanti nelle unioni civili, lottano per la piena uguaglianza, senza accontentarsi dell'”autobus per neri” che qualcuno ha deciso debba divenire il nostro glorioso destino.
Chiudo infine facendo notare una questione, a mio modo di vedere abbastanza semplice. In molti si chiedono, sempre dentro quel partito, come mai un gay o una lesbica possa votare M5S o farsi candidare in quella lista. L’argomento preferito è il dietrofront sul canguro (poi divenuto voto contrario sulle unioni civili, quando non è propriamente così ma rimando al discorso sull’onestà intellettuale fatto a Virginia Raggi). Se bastasse un passo falso di un soggetto politico sulla questione Lgbt per renderlo invotabile, certa gente non avrebbe mai dovuto candidarsi in quei partiti in cui una certa Rosy Bindi diceva che due gay la genitorialità dovevano scordarsela, che non si devono mettere al mondo dei disadattati, che in Italia non si arriverà mai al matrimonio e a chi non piace tutto questo può sempre andarsene all’estero. Ecco, la logica di chi vota M5S è la stessa di quei gay e quelle lesbiche che votano altre realtà politiche: o per avere una poltrona (che spesso arriva e fa dimenticare le ragioni per cui si è arrivati in parlamento) o perché magari ci credono davvero di cambiare le cose dall’interno.
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