Le relazioni omosessuali dei boss della ‘ndrangheta, le lettere tra amanti, le loro abitudini sessuali. Sono questi gli argomenti di uno dei capitoli del nuovo libro del giudice Nicola Gratteri scritto insieme a Antonio Nicaso “La rete degli invisibili”. “Numerosissime intercettazioni dalle quali risulta che alcuni affiliati alla ‘Ndrangheta (con vari ruoli all’interno delle famiglie) sono omosessuali – si legge in uno stralcio del volume anticipato ieri -. Si va da quelli che frequentano locali di scambisti a Milano a quelli che, a Reggio Calabria, bazzicano la zona della Villa Comunale in cerca di trans, a quelli ancora che, di ritorno da un viaggio sulla costa ionica per acquistare droga, si fermano lungo la Ionio-Tirreno e consumano un focoso amplesso omosessuale”.
Scopo delle rivelazioni, dicono le agenzie, sarebbe far crollare il mito del boss play boy. Non mancano nomi e cognomi, particolari su rapporti sessuali avuti in carcere, un certo moralismo nel parlare di “dubbie frequentazioni” e “trasgressioni” e una certa confusione tra orientamento sessuale, gusti personali, ruoli di genere. E quel sottinteso per cui essere omosessuali significa essere un po’ meno maschi.
L’anticipazione del libro non è passata inosservata. Al giudice Gratteri risponde, con una lettera aperta Mirella Giuffrè, mamma Agedo (l’associazione dei genitori delle persone LGBT).
Ecco cosa scrive Mirella al dott. Gratteri:
“Caro Signor Gratteri, Le scrivo da mamma di persona omosessuale in merito alle rivelazioni descritte nel suo ultimo libro tratte da intercettazioni riguardo l’omosessualità di alcuni boss.
Mi chiedo come può essere utile alla lotta per sconfiggere un sistema ‘ndranghetista l’aver portato alla luce una sfera di intimità che ogni individuo, aldilà delle sue attitudini delinquenziali, deve avere il diritto di preservare alla gogna sociale e mediatica.
Rivelare l’orientamento sessuale di una persona con l’intento di sminuirne la dignità è un atto meramente omofobo, soprattutto associando l’omosessualità di queste persone a trasgressione e devianza. Tutto ciò va ad alimentare quel substrato culturale in cui l’omosessualità (preferisco omoaffettività, ma Lei forse non comprende il termine) viene ancora considerata una scelta di trasgressione, in una società in cui ancora la discriminazione subita dai nostri figli porta a esclusione, a violenze e spesso a suicidi.
Lei probabilmente non comprende quanta sofferenza un ragazzo omosessuale affronta nel suo percorso di vita prima di riuscire a dichiarare il proprio orientamento sessuale in famiglia e nella società, la difficoltà di essere liberi di vivere, innamorarsi e amare alla luce del sole senza essere discriminati. Con le Sue esternazioni ha offeso e strumentalizzato, forse per puri fini commerciali, una comunità che con immensa fatica lotta ogni giorno per vedere affermati i propri diritti che dovrebbero essere di tutti.
Mi sento di consigliarLe per i suoi prossimi libri di prestare attenzione nell’affrontare con tanta leggerezza argomenti così delicati che riguardano la sfera intima e personale di ogni persona e della propria famiglia”.
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