E i papà gay, alla fine, arrivarono all’altare. Non come da “tradizione”, ovvero per celebrare un matrimonio. Ma per la lavanda ai piedi. Accade alla periferia di Firenze, alle Piagge dove stasera, alle 21:15, verrà celebrata la consueta messa del Giovedì Santo. Accanto a loro ci saranno – tra gli altri – anche alcuni cittadini rom, due mamme del comitato “No inceneritore”, un disoccupato, una donna affetta da ludopatia, ecc.
A celebrare il rito sarà don Alessandro Santoro, per altro non nuovo a iniziative “friendly”. Da tempo, infatti, il sacerdote battezza i figli dei gay credenti e in passato ha pure sposato una coppia formata da un eterosessuale e una donna MtF. Azione che gli ha procurato l’allontanamento dall’altare per qualche tempo.
La chiesa è tale, dichiara don Santoro secondo quanto riporta Repubblica, «quando ha come compagni di viaggio chi si trova disorientato, umiliato o messo da parte». E aggiunge: «Credo sia molto importate poter costruire una cultura religiosa ma anche non religiosa, di fraternità. Accoglieremo le persone di questa comunità condivideremo il pane con questi compagni di vita». Un importante messaggio di inclusione, per niente scontato tra i settori ecclesiastici che in altri contesti arrivano agli onori delle cronache per aver organizzato pullman per le piazze antigay o seminari per pubblicizzare terapie riparative o, ancora, per dare visibilità ai soliti volti noti del “no al gender”.
Fredda la reazione, a tale proposito, della curia locale. Laconica l’arcidiocesi, che commenta: «Quale sia la posizione dell’ arcivescovo, e quindi della Chiesa cattolica, circa ciò che è implicato nelle scelte di don Alessandro Santoro per il Giovedì Santo è a tutti noto perché più volte già esplicitato». Insomma, una chiesa che accoglie anche i gay alle gerarchie non va proprio giù. Eppure, a sentire chi ci crede, il cristianesimo è quella fede che abbraccia l’altro, soprattutto chi viene percepito come “diverso”, chiamandolo “fratello”. O forse per i gay pure in questo caso le gerarchie vorrebbero fare eccezioni. Anche sotto Pasqua, a quanto pare.