Continua l’odissea di Patrick Zaky il giovane studente egiziano, iscritto all’Università di Bologna e detenuto nelle carceri del suo paese d’origine con l’accusa di “propaganda contro lo stato”. Secondo un’emittente egiziana, infatti, «l’omosessualità era l’oggetto del suo studio». Per questa ragione, «dall’Italia Zaky voleva screditare e attaccare il governo egiziano». Una tv privata, ma controllata dal governo, secondo La7. Capo d’imputazione surreale, se visto con gli occhi di chi vive in una moderna democrazia. Ma sufficiente a rimanere ingiustamente in carcere.
Un escamotage del regime di Al Sisi
«L’udienza per discutere dell’arresto dello studente dell’università di Bologna fermato al Cairo a febbraio» riporta Repubblica.it «è stata spostata al 21 novembre. Patrick non è apparso in aula». Zaky è in carcere da otto mesi. «Le accuse contro di lui non sono mai state discusse ma secondo la legge egiziana l’arresto preventivo può essere prolungato fino a due anni. Al termine del quale, spesso, gli imputati vengono tenuti in carcere con una modifica delle accuse». Escamotage, quest’ultimo, che permette al regime di al Sisi di trattenere a lungo i dissidenti politici in prigione.
La lunga odissea di Patrick Zaky
Patrick Zaky, inizialmente, è stato «detenuto a Mansoura, città di origine della sua famiglia». Quindi «è stato spostato al Cairo a marzo». Qui, «a causa dell’emergenza Covid, non ha potuto incontrare familiari né avvocati. La mamma ha potuto finalmente vederlo soltanto a settembre e lo ha trovato dimagrito e stanco, ma anche determinato a non farsi piegare e desideroso di continuare gli studi in Italia» si legge ancora su Repubblica.it.