Si sente l’odore di Napoli tra le pagine de “La Santa Piccola”. Forte, penetrante, come il dialetto che costruisce una storia che non è soltanto napoletana. Con accenti diversi, la si potrebbe ritrovare anche altrove: Mario, Lino e Assia stanno dove si trova la periferia. Una delle tante dove le famiglie sono corpi “sconquassati” prima dei legami. Dove i soldi non bastano mai e per mangiare sei spinto a scegliere di venderti.
Vincenzo Restivo, al suo quinto romanzo, per la partenopea Milena edizioni (7,90 euro) tratteggia un ambiente che puzza di metano, abitato da adulti che sono ombre e, se prendono corpo, creano terrore.
Diciassettenni adulti
Lo abitano diciassettenni che fanno il gioco pericoloso di mostrarsi adulti, capaci di tutto, pronti a tutto ciò che serve. Ragazzi che in realtà sono molto più piccoli di quanto dica la loro età. Sono disarmati perché chiamati a responsabilità più grandi di loro. Sono loro, Mario e Lino a dover sostentare le famiglie. I soldi servono e la prostituzione diventa una scelta logica. Ma sono disarmati soprattutto di fronte a se stessi. Lino sta con Assunta, detta Assia, ma non sa come amarla. Tra lampi sorprendenti di goffa tenerezza, conosce solo la foga e la violenza per dare forma ai loro sogni di piccola felicità.
Sa cosa sente, ma sa che non può
Mario, invece, non ha neanche quella. Lui sa cosa sente, ma sa che non può. Sa che odia Assia, perché vuole Lino per sé. Perché quello che accade al suo corpo in presenza di Lino lo riconosce. Ma sa che è impensabile, impossibile. E allora si fa violenza per non pensare e, come su un campo da calcio, abbassare la testa e correre. Perché “funziona così quando non hai niente. Devi correre più forte degli altri e vincere, sempre”. Ma lui non è un vincente, lui deve lottare per restare a galla. La violenza è lo strumento più efficace a chi non ha altra lingua per parlarsi, o per parlare di sé al mondo.
“Ci sono i cani che ti mangiano pezzo pezzo”
Anche l’amore diventa violenza: rubato, estorto. E il sesso, preso a forza. E se dentro a questo compare, per sbaglio, una stilla di dolcezza, la violenza non ha più strumenti per affrontarlo. Perché “quando nasci uomo come me, uomo ci devi rimanere e non ti puoi permettere di essere debole perché là fuori ci sono i cani che ti mangiano pezzo pezzo”. Fino a un punto da cui non si può più tornare indietro.
Una poesia bugiarda
In un romanzo che è nei fatti un racconto lungo, agile e spigoloso, Restivo racconta una marginalità che è (come sintetizza la bellissima immagine con cui Claudio Finelli conclude la sua accurata prefazione) “una sgrammaticatura dell’anima”. “La santa piccola” trascina in un baratro che non è solo Napoli, non è solo periferia, non è solo la storia dei vinti di oggi. È il buio della paura, di sogni dai confini smangiati. Per i quali sperare in un miracolo, nell’immagine di una bambina santa. Una speranza, un’idea. “Una poesia”, scrive ancora Finelli. Ma se anche questa fosse “una poesia bugiarda”? “La Santa Piccola” si assume questo difficile compito. Aprire uno squarcio su un mondo dove “non ci sono più miracoli. Per nessuno”.