E’ di nuovo un tribunale a dare torto al sindaco di Perugia Andrea Romizi e a tutelare i diritti del piccolo Joan. Questa volta è la Corte d’appello, a cui il comune aveva fatto ricorso dopo la prima sentenza, a imporre all’amministrazione perugina di trascrivere l’atto di nascita del bambino inserendo entrambe le mamme.
La vicenda è nota. Joan, nato in Spagna dal legame tra due donne perugine che vivono lì, è rimasto senza documenti fin dalla nascita. In Spagna non esiste lo ius soli, quindi il paese iberico non poteva registrarlo come suo cittadino e il sindaco di Perugia, Andrea Romizi, si è sempre rifiutato di trascrivere l’atto di nascita. Per la prima volta, ormai più di un anno fa, un comune italiano si rifiutava di trascrivere, anche solo con la madre partoriente, l’atto di nascita di un bambino nato da due mamme. Di fatto, così, il bambino è rimasto senza documenti e senza cittadinanza per più di un anno.
A battersi a fianco delle due mamme di Joan perché i suoi diritti venissero tutelati sono state due associazioni: Omphalos LGBTI e Rete Lenford. Dopo il diniego, infatti, gli avvocati di Rete Lenford hanno assistito la coppia nel ricorso al tribunale. E il tribunale aveva dato ragione alle due donne imponendo al Comune e al sindaco Romizi di trascrivere l’atto. Era marzo scorso. Il sindaco però non si è arreso neanche davanti ai giudici ed ha fatto ricorso alla Corte d’appello. Oggi l’ordinanza che, ancora una volta, dà torto a Romizi e ragione alla famiglia arcobaleno. Il ricorso è stato ritenuto infondato e l’ordine è di trascrivere integralmente l’atto.
“Quello del comune è stato un vero e proprio accanimento ai danni di un minore che ha anche leso profondamente l’immagine di un’intera comunità cittadina non abituata a simili crociate ideologiche – commenta Stefano Bucaioni, presidente di Omphalos -. Ci auguriamo che il sindaco Romizi abbia finalmente compreso che non esistono famiglie di serie A e famiglie di serie B. L’attività amministrativa del primo cittadino impone la tutela di tutti i bambini, indipendentemente dalla tipologia di famiglia in cui sono nati, amati e cresciuti. Romizi riconosca i suoi errori, altrimenti farà bene a dimettersi”.
“Questa pronuncia ci offre un’importante ricostruzione del significato giuridico della genitorialità – commenta a Gaypost.it l’avvocato Vincenzo Miri che insieme alla collega Martina Colomasi ha assistito le due mamme -: non solo non tollera discriminazioni di alcun tipo, ma non può compromettere né le libertà delle persone omosessuali né i diritti fondamentali dei più piccoli sulla base di meri pregiudizi”. “Le famiglie arcobaleno, è scritto nero su bianco ed è bello leggerlo, sono vere e proprie famiglie – continua Miri -. È importantissimo, poi, che anche la Corte di Perugia, per la prima volta nella prospettiva di valutare la possibilità di riconoscere un atto straniero, abbia condiviso e fatto proprio quanto stabilito nello scorso mese di luglio dai Tribunali di Pistoia e di Bologna e dalla Corte d’Appello di Napoli”.
“Anche gli atti di nascita dei bimbi che sono partoriti in Italia a seguito di fecondazione eterologa realizzata all’estero – spiega l’avvocato – da due donne devono indicare entrambe le mamme”. “Si tratta di una conferma che premia il lungo lavoro fatto nei mesi scorsi insieme al gruppo legale di Famiglie Arcobaleno coordinato dal prof. Angelo Schillaci – conclude -: ad Angelo, alla prof.ssa Stefania Stefanelli e al dott. Marco Gattuso rivolgo un personale ringraziamento, perché con i loro studi sulla genitorialità e sulla filiazione continuano ogni giorno, instancabilmente, ad offrire all’avvocatura e alla magistratura pagine di straordinario spessore e di fondamentale importanza, per il riconoscimento giuridico di tutte le famiglie arcobaleno, formate in Italia o all’estero”.
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