L’Italia è un paese dalle polemiche facili e ogni anno, a ridosso dei pride, questa regola non fa eccezione: Catania Pride incluso. Se poi riduciamo il tutto a una dimensione provinciale, la polemica si fa polemichetta. Ugualmente sterile, perché fine a se stessa. Buona a indignare gli animi e a restare lì, trasformando l’indignazione in oblio. Com’è giusto che sia, anche se permane un senso di fastidio. E la polemichetta del giorno è che ieri in piazza, al pride etneo, c’è stata una grande partecipazione. Ma loro, quelli della FIPE – Federazione Italiana Pubblici Esercizi, non ci stanno. Si è concesso ai “gay” di sfilare. Anatema! E quindi, se domani ci chiudono è colpa nostra. Delle persone Lgbt+.
L’associazione leader nel settore della ristorazione e dell’intrattenimento – così si descrive nella sua pagina Facebook – scrive «Incredibile…. Noi siamo quasi arancioni … combattiamo per restare aperti e poi succede tutto questo…. Impossibile ma Vero …. A questo punto … non vogliamo mai più chiudere qualsiasi colore sia la Sicilia …P.s. e le discoteche rimangono chiuseeeee… ingiustizie !!!». L’associazione leader nel settore della ristorazione e dell’intrattenimento opera la più banale delle semplificazioni. Con una sottile allusione: la presenza di persone Lgbt+ nel territorio rischia di trasformarsi in un problema di salute pubblica. Non ci aveva pensato nessuno. Come quando tra fine ‘800 e inizio ‘900 la medicalizzazione dell’omosessualità si legava a doppia mandata alla retorica della corruzione della salubrità pubblica, per arrivare agli anni ’80 quando essere gay significava diffondere l’Aids. Avanguardia pura, insomma, per scomodare una citazione.
Eppure di motivi per scandalizzarsi ed evocare disastri sanitari in questa città, a Catania (come altrove, per altro) ce ne sarebbero eccome! Mi chiedo: il Fipe si è indignato per il fatto che venerdì si è tenuto un raduno dei no green pass, con un centinaio di partecipanti e molti senza mascherina, a piazza dell’Università? Non risulta, non ancora, che il covid sia Lgbt+friendly. E ancora: nessuna indignazione, immagino (e spero di essere smentito), quando a luglio migliaia di catanesi hanno festeggiato la vittoria dell’Italia agli europei di calcio per strada, urlandosi addosso e sempre senza mascherina. Lì il Fipe dov’era? A dar fastidio, invece, è una manifestazione che chiede uguaglianza e pari diritti. Dove la maggior parte di chi ha partecipato ha osservato le disposizioni sanitarie in vigore. E questo dimostra il grado di analfabetismo politico e democratico – e non mi stupirei se ci fosse pure una velata omofobia – dietro certe polemiche.
Per altro, chi ha visitato Catania (ma credo che la situazione sia analoga per le altre città turistiche) sa benissimo cosa è successo in questa città nei mesi precedenti: assembramenti di ogni ordine e grado per la centralissima via Etnea, tra shopping, struscio e movida. Serate danzanti in riva al mare, con tanto di interventi delle forze dell’ordine, perché c’era davvero troppa gente e perché si violavano le disposizioni vigenti. Folle indisturbate e assembrate nei pub, di notte, e nei lidi di giorno. Gente senza mascherina nei luoghi chiusi, dai bar del centro ai pullman per spostarsi in altre città. Questa è stata Catania e questa è stata la Sicilia orientale in questi mesi. Parola di chi l’ha vista coi suoi occhi. Dov’era lo sguardo vigile di chi si indigna solo per il Catania Pride?
Una manifestazione che chiede diritti e uguaglianza non può essere derubricata a mero abuso di una parte della società. Basterebbe già solo questo per avanzare quel sospetto di omo-bi-lesbo-transfobia in chi mira all’indignazione collettiva. Pensare cioè che scendere in piazza, esercitando un diritto costituzionale, sia poco più che un capriccio nella migliore delle ipotesi. In questa estate ci sono stati diversi pride, per tutta la penisola. A Roma, a fine giugno, c’è stata una manifestazione oceanica. Il Lazio non ne ha risentito, cronache e dati scientifici alla mano. Sarà che in quella regione il numero delle vaccinazioni è tra i più alti in Europa? E non sarà che in Sicilia siamo quasi arancioni (senza puntini di sospensione messi a mentula canis) perché la campagna vaccinale è indietro rispetto alle altre regioni d’Italia?
Di fronte a tutto questo, la domanda sorge spontanea, marzullianamente parlando: cosa ha fatto il Fipe in questi mesi per accelerare e supportare la campagna vaccinale? Si è speso in opere di sensibilizzazione e di informazione? Perché una messa in sicurezza della salute pubblica passa anche da piccole azioni concrete. Ed è quello che è stato fatto ieri, proprio al Catania Pride: perché chi voleva, infatti, poteva fare il vaccino in un camper predisposto dalle associazioni organizzatrici che hanno dato la possibilità a chiunque di potersi tutelare. E di tutelare la società tutta. Nell’interesse anche di quegli esercenti che poi si lamentano, comprensibilmente, delle chiusure. Ma se domani saremo in zona arancione, non è colpa del pride. È colpa di una cattiva gestione, qui in Sicilia, della campagna vaccinale. E quindi è un problema di classe dirigente. Ma è più facile prendersela con le persone Lgbt+. Sebbene sia del tutto inutile, dato che il virus non segue logiche che portano a certe polemichette sterili e, appunto, provinciali.
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