È successo a ognuno di noi. Puntuale, arriva il momento in cui ci sentiamo in dovere di ricordare che i figli e le figlie delle famiglie omogenitoriali crescono bene, come in ogni famiglia. Bisogno comprensibile, soprattutto quando esiste una nutrita letteratura scientifica a dimostrarlo e specialmente di fronte a chi teme davvero che i nostri bambini a un certo punto sentiranno il desiderio di travestirsi da Cher prima di andare a scuola.
Eppure uno dei propositi per il nuovo anno, in quanto comunità Lgbt – oltre a scendere in piazza al seguito di una sempre più agguerrita Monica Cirinnà, novella “libertà che guida il popolo”, per ottenere matrimonio egualitario e adozioni (o ve lo siete dimenticati?) – dovrebbe essere quello di pensare a un’altra tipologia di bambini: quelli dei genitori omofobi. Sono loro, a ben guardare, ad aver bisogno che l’occhio della società si posi sulle loro esistenze per capire se crescere accanto a un certo tipo di “padre e madre rigorosamente eterosessuali perché maschio e femmina Dio li fece” porti alla felicità oppure trascini nelle paludi della sofferenza.
Per capire di cosa stiamo parlando, si partirà da alcuni modelli rappresentativi su cui rintracciare una casistica di comportamenti. Ecco quindi un primo, provvisorio, elenco.
1. Frequentatore seriale di piazze (immobili). Tale categoria di genitori espone i figli a tutte le intemperie climatiche possibili. Lo ha dimostrato il Family day del 2014: nonostante la pioggia copiosa, seguita dal caldo asfissiante della Roma di inizio estate, loro erano lì, a cantare canzoni orrende (si veda, a tal proposito, il punto 2 dell’elenco), a esporre i loro pargoli all’entusiasmo di suore mannare per il sesso tra etero e a far ascoltare ai loro figli i discorsi di chi, dal palco, diceva che se un uomo uccide la moglie è perché quest’ultima un po’ se l’è cercata. Immaginiamo il disagio di adolescenti (soprattutto ragazze) nello scoprire che per papà e mamma è più importante tutto questo, rispetto all’idea di andarsene al mare come farebbe qualsiasi quindicenne che sta ha appena finito la scuola.
2. Utente da radio confessionale. Mamma è lì che prepara da mangiare, la radio accesa e un prete dell’oltre tomba a sciorinare teorie per cui la deriva dei continenti ora è un complotto ordito da chissà quale ordine giudaico-massonico, ora male necessario di cui Dio si serve per punire le nazioni per aver permesso a gay e lesbiche di unirsi civilmente. I soggetti più pensanti si chiedono: perché nelle Marche sì e in Scandinavia, dove c’è pure il matrimonio, nemmeno un’onda anomala? Per doversi sorbire tutto questo, i più piccoli non potranno vedere Peppa Pig, sviluppando deprivazione affettiva precoce, mentre i più grandicelli verranno presi in giro dai compagni di classe perché incapaci di capire frasi ad effetto quali “no Maria, io esco” scambiandole, magari, per una rilettura dei Vangeli sull’incontro tra la Vergine e l’arcangelo Gabriele.
3. Guerriero da social network. Padri e madri che aprono account su Twitter e Facebook senza riuscire a cogliere la bellezza intrinseca del cazzeggio del web. Altrimenti non si spiegherebbe la sincera costernazione con cui condividono i tweet di Formigoni contro il “gender” in Lombardia. I figli di queste persone non capiscono perché i genitori dei compagni esibiscono i loro volti e dichiarano le professioni svolte, mentre i loro mettono come foto di presentazione embrioni dissezionati, angeli sterminatori o cuori sanguinanti trafitti di croci. Anche nella sezione bio il dramma non accenna a diminuire: “madre e sposa” sembrano titoli più accreditati di “neuropsichiatra infantile”. La stessa categoria a cui quei poveri bambini sentono di doversi rivolgere, per evidenti ragioni.
4. Icona omofoba wannabe. Papà da giovane suonava la chitarra e adesso si ritrova a cantare nelle feste parrocchiali con la sua cover band. Per fare questo ha allevato piccioni, per imitarli alla perfezione nell’incipit di Vorrei avere il becco di Povia. Mamma, invece, da bambina leggeva le ricette di suor Germana e adesso, armata di pigiama di seta e pantofole coi tacchi a spillo, imita la versione “married & submissive” di Benedetta Parodi, cucinando muffin all’uvetta – la cioccolata sarebbe una concessione al peccato di gola – al suono de La notte vola. Mossettine incluse e minipimer in mano. Riconosci l’adolescente cresciuto in questo tipo di famiglia dallo sguardo di familiarità al cospetto de L’urlo di Munch (o sua eventuale copia) per spontanea immedesimazione.
L’elenco, purtroppo, rischia di essere non esaustivo. Possiamo convenire, tutti e tutte, che sarebbe molto meglio per questi bambini crescere persino nel privé di una discoteca a Sitges che in situazioni come quelle appena descritte. Anche se forse preferirebbero più normali genitori, anche dello stesso sesso, con la loro serena quotidianità. Aspettiamo tuttavia che la scienza si pronunci al riguardo. Intanto, visto che siamo in tema, possiamo sempre affidarli alle befane e alle streghe, fosse non altro che per insegnare loro che dai roghi si scappa e ci si ribella.