Nonostante siano passati diversi giorni, ormai, da quando la vicenda di Asia Argento e della violenza subita da parte del produttore Weinstein è diventata nota, l’attenzione sul tema non cala. La campagna
#quellavoltache, nata da un’idea della giornalista e scrittrice Giulia Blasi e “adottata” da Gaypost.it e Pasionaria, sta permettendo a centinaia e centinaia di donne di raccontare le loro storie. Una gigantesca denuncia collettiva. E poco importa che non si facciano i nomi dei responsabili degli abusi. Non siamo in tribunale e questo è un problema culturale, prima ancora che giudiziario.
Le storie arrivano con un tweet, con una foto su Instagram, con uno status su Facebook. O con un racconto, come nei casi che
vi abbiamo proposto nei giorni scorsi e in quello che vi raccontiamo oggi. Questa
è la storia di Giada (nome di fantasia). Leggetela.
Tante storie, ma soprattutto lui: il nonno
Le storie sono tante… da che avevo 11 anni a scuola, con un compagno (un mezzo mafioso) di 3 anni poi grande di me (perché bocciato 3 volte) che mi metteva la mano sulla gamba sotto al banco, ma lui sì, a modo mio, lo denunciai dicendolo ai professori che ci separarono… Dal volo Aberdeen-Newcastle, quando ne avevo 25, quando ancora non parlavo bene l’inglese, ma mi trovai un tipo vicino che, pensando che non capissi, si divertiva a insultarmi con commenti volgari: credo che nel suo caso però sentí più vergogna lui (o forse no) per gli sguardi di disapprovazione degli altri passeggeri.
L’ultima, la più recente, pochi anni fa, dal mio capo che in maniera subdola e approfittando di un mio momento di vulnerabilità, mi plagiava e mi faceva sentire a disagio…
Ma la cosa che mi ha segnato di più, che ho raccontato solo a una persona in tutta la mia vita, è stato il Nonno, il padre di mio padre, che con la scusa di pesare me e mia cugina, forse avevamo 13 anni o giù di lì (?) si metteva dietro di noi e ci si “appoggiava” addosso… E io nei miei ricordi offuscati… mi sono sempre chiesta se mi sbagliavo, quasi non ho mai voluto credere che fosse quello che io pensavo che fosse… Poi un giorno lo portarono in ospedale, non era stato bene tutta la notte, e io non volli andare a trovarlo. Mio padre ci rimase malissimo quando gli dissi che preferivo studiare. Non ha mai capito né saputo il perché, e forse in cuor suo non mi ha mai perdonato per essere stata così “indifferente”. Il Nonno morí due giorni dopo.
Per tutti era un uomo speciale
Quando si parla di lui a me vengono i brividi: mentre tutti lo ricordano con tanto amore, come una persona speciale, io mi sento morire dentro perché conosco una verità che non potrei mai condividere con loro. Preferisco lasciargli il ricordo bello di un uomo modesto e “pulito”. Non avrebbe senso rovinare la sua memoria agli occhi di chi lo amava. E forse nemmeno mi crederebbero.
Questo è ciò che non potrei ai condividere con mio padre o con la mia famiglia in generale.
PS: avrei dovuto dire: il mio ex capo. Alla fine mi sono licenziata.