“Luca era gay”, ricordate? Così recitava il ritornello della famigerata canzone sanremese. Un testo che faceva luce sul fenomeno degli omosessuali riconvertiti. I testimoni della riparazione. Coloro che tornano alla normalità rinunciando ai piaceri della carne e ai poteri delle paillettes. Vuoi competere, per altro, con Dio in persona? A quanto pare, Luca non è il solo ad aver scelto un’altra sponda. Dopo di lui ne sono arrivati altri. E, come sempre accade, queste inversioni a U della sessualità fanno non poco scalpore.
Uscire dall’omosessualità, grazie a Dio
Qualche giorno fa, su Facebook, è comparso uno stato scritto da tal Ruel Franzese e intitolato “USCITO DALL’OMOSESSUALITÁ”. Rigorosamente in maiuscolo e con l’accento al contrario. A leggerlo, il bel Ruel ce l’avrebbe fatta. Dopo anni passati a lottare con una natura perversa e sbagliata, finalmente il nostro eroe ha ritrovato la retta via, guarda caso grazie a Dio – non è esclamazione di circostanza – e dopo un’intera esistenza passata, seppur contro voglia, nell’errore. Si sa, d’altronde: sbagliare è umano, perseverare è diabolico. E sembra questo il messaggio che vuole far passare il nostro.
Entrare nell’omosessualità, grazie al porno
La cosa più sorprendente, tuttavia, non è tanto il suo essere “USCITO DALL’OMOSESSUALITÁ” quanto il modo in cui c’è finito. A leggerlo, la sua è una storia di bullismo. I suoi compagnetti gli dicevano che era incapace, brutto, grasso e finocchio. E lui, guarda un po’, ci ha creduto. L’evento catalizzatore di tutto, il morso alla mela sbagliata, è stato l’esser finito fatalmente su un sito: «Tra un click e un altro sono arrivato su una pagina pornografica, guarda caso omosessuale». Guarda caso. «Ho chiuso subito quello che li per li mi aveva fatto schifo» dichiara ancora, sempre sbagliando gli accenti «ma negli anni successivi, quello schifo ha iniziato a far parte del mio quotidiano».
E se lo dice la Bibbia…
Facendola breve: è diventato gay sia perché glielo hanno fatto credere a scuola, sia perché ha guardato materiale porno gay – e si sa, tra una pagina e l’altra, mentre ti diverti a cercare siti internet dei tuoi personaggi preferiti è quasi automatico beccare fellatio o orge tra uomini: basta capire chi sono quei “personaggi preferiti”, ma questo è un altro discorso. Fino a quando arriva la svolta: «Ho sempre creduto in Dio, e Lui è stato la parte centrale del mio cambiamento» dichiara, trionfante, Ruel. «Pregavo, volevo una vita normale come gli altri e non sentirmi più un rigetto. La Bibbia, la parola di Dio, afferma che l’omosessualità è un peccato ed io a questo ho sempre creduto».
In discoteca, col senso di colpa
Adesso, che qualcuno – chiunque egli sia – non si senta più un reietto mi rassicura non poco. Per due buone ragioni: 1) è sempre bello sapere che una persona smette di soffrire; 2) è confortante la prospettiva che qualche amico, un giorno, non mi chiami nel cuore della notte dicendomi di aver conosciuto un tipo in discoteca, di averci fatto sesso magari, per poi dover subire i suoi sensi di colpa al cospetto di Gesù, la vergine Maria e tutti i santi del paradiso. Ruel non ha semplificato la vita solo a se stesso, ma anche a molti ragazzi gay che avrebbero potuto incontrarlo nella propria strada. Ma a questo punto, voglio raccontargli anch’io la mia vicenda.
Ruel, ti racconto una storia…
Caro Ruel, anche io come te sono stato bullizzato perché grasso e gay. I miei compagni mi etichettavano come ortaggio e in buona sostanza avevano ragione: perché ero (e sono) davvero frocio. E rivendico il termine, sia ben chiaro. Su una cosa, però, sbagliavano: a tormentarmi per tale motivo. E quindi le nostre vite si somigliano e non poco. Solo che non sono “diventato” gay per questa ragione, né sono “entrato” nell’omosessualità perché qualcuno mi ha convinto. Sei gay perché provi attrazione fisica e sentimentale per persone del tuo stesso sesso. E questo ti rimane per sempre, se è vero che sei gay. Ma, nel tuo caso, credo che tu non sia mai stato omosessuale. Ti spiego perché.
L’identità non è un processo per esclusione
La ricerca della propria identità non dovrebbe mai essere un processo per esclusione. È, semmai, un recupero di autenticità. Per anni – quando non mi accettavo per ciò che ero – ho sempre cercato di far pace con il fatto, che stava lì davanti ai miei occhi (e spesso anche di fronte agli occhi di molti altri), che mi piacessero gli uomini. I maschi. Quelle creature con la barba, i peli un po’ ovunque e un pene tra le gambe. Dovevo far pace con ciò che sentivo profondamente (essere gay) e da cui cercavo di sfuggire perché, questo sì, così il mondo là fuori mi induceva a fare: “tornare” ad essere etero.
La migliore delle vite possibili
Ho trovato piena pacificazione e piena realizzazione non quando questa cosa se ne è andata, perché è ancora qui dentro di me, ma quando mi sono detto – prima tra me e me, poi a tutti gli altri – che io sono così e pazienza se a qualcuno l’idea non va a genio. Per quel che mi riguarda, invece, è la migliore delle vite possibili. Ti stupirà saperlo, ma da quel momento le cose sono andate sempre meglio: con le amicizie, con la famiglia, con il mio stesso universo emotivo fatto di desiderio, emozioni, attrazione.
L’errore di credersi “ex gay”
Per cui, caro Ruel, è vero quando dici che «la mente è strana, funziona così, delle volte ti aiuta a vincere, delle volte fa cilecca». La tua ha fatto cilecca per molto tempo e continua a farlo, a parer mio, perché perseveri nell’errore di crederti ciò che non sei: un ex omosessuale che ha trovato la retta via. Forse sei solo un ragazzo etero dall’identità sessuale fragile e il fatto che tu abbia bisogno di negare la dignità dell’essere gay – quante volte hai scritto il termino “schifo”, in merito? – per sentirti forte del tuo non esserlo, mi convince in tal senso.
Forse il tuo dio mi ha ascoltato
In buona sostanza, ciò che emerge nella tua storia non è tanto che l’omosessualità è segno di una qualche confusione o di un destino di disordine con relative fiamme dell’inferno pronte ad accoglierti. Bensì, che il processo per rientrare nell’unica normalità per te possibile ti ha reso profondamente infelice. Fossi in te comincerei a interrogarmi su questo. Augurandoti che la tua identità sia un giorno forte, salda e che non abbia bisogno di preghiere notturne per essere pacificata. Anche perché ti confesso un’ultima cosa: io, il tuo dio, l’ho pure pregato di smettere di rendermi infelice. E, se è vero che esiste, mi ha ascoltato. Ed esaudito.