Non mi sposi, ti porto dal giudice. Sono tredici le coppie hanno deciso di fare causa al governo giapponese nel giorno di San Valentino per reclamare il diritto a sposarsi.
Nel ricorso si denuncia la violazione del diritto costituzionale di uguaglianza perché in Giappone i matrimoni omosessuali sono vietati.
Come riporta il Time, a festeggiare San Valentino di fronte a un giudice saranno otto coppie di uomini e cinque di donne, come Chizuka Oe e Yoko Ogawa insieme da 25 anni: “Ci siamo messe pazientemente in fila insieme alle altre coppie felici, arrivate all’ufficio ci hanno detto che non possiamo sposarci perchĂ© siamo due donne” ha spiegato Ogawa, “vogliamo solo avere il diritto di poterci sposare o meno”. Tra gli innamorati che hanno fatto causa, anche una coppia lesbica con una storia particolare. Si tratta di Ai Nakajima, giapponese di 40 anni, e Tina Baumann, tedesca di 31 anni: dopo essersi conosciute nel 2011 a Berlino si sono sposate in Germania ma il Giappone, dove si sono trasferite dopo qualche anno, non riconosce la loro unione. “La societĂ giapponese è per natura molto conservatrice”, ha raccontato Nakajima alla Bbc.
Ma nonostante il Giappone sia un Paese molto tradizionale, sottolinea l’emittente britannica, i sondaggi mostrano che la maggioranza dei giovani giapponesi sostengono i matrimoni fra persone dello stesso sesso. Secondo un sondaggio di Dentsu dello scorso ottobre, il 78% dei giapponesi tra i 20 e i 59 anni è favorevole al matrimonio egualitario. Dal 2015 in Giappone alcuni Comuni hanno emesso dei certificati per le coppie omosessuali, ma non sono legalmente vincolanti e si limitano a chiedere alle imprese di dare loro trattamento uguale agli altri.Le 13 coppie arcobaleno nutrono grandi speranze nella battaglia legale: “Siamo pronte a portare il caso alla Corte suprema”, spiega Nakajima alla Bbc, aggiungendo che in quel caso l’iter potrebbe durare oltre cinque anni.
Gli avvocati che rappresentano le coppie contestano l’interpretazione della clausola della Costituzione giapponese secondo la quale “il matrimonio può esserci solo con il mutuo consenso di entrambi i sessi” sulla quale si basa il divieto.