E oggi si parla di lui, del fenomeno del momento: Francesco Gabbani. Il vincitore dell’ultimo Sanremo ha travolto i suoi competitori con un motivo facilmente orecchiabile, che ti entra subito in testa. E destinato ad essere cantato e ballato un po’ ovunque. Di diventare, quindi, un vero e proprio tormentone.
Confesso che sono venuto a scoprire dell’esistenza di Gabbani solo qualche sera fa e sostanzialmente per due ragioni: la prima, le polemiche sulla sua canzone, esacerbate dalla vittoria. La seconda, per il tasso di ormoni che dentro la gay community (e non solo) ha subito picchi considerevoli dopo la sua performance all’Ariston. Dagospia per altro, insieme ad altri siti, ha ben scandagliato il sembiante del nostro, concentrandosi sul “pacco”. Si è persino provato a quantificare le sue dimensioni. Vediamo di entrare nello specifico di questi interrogativi (fondamentali), cominciando dalla fine.
De gustibus, si direbbe in questi casi. Certo, Gabbani ha la freschezza giovanile, si “vende” bene sul palco e ha quella verve che a un certo punto ti affascina. Poi può non piacere – sono partito appositamente dal discorso che ognuno ha i suoi gusti – ma il sorrisetto malandrino, lo sguardo a tratti ingenuo e quel fare che è una via di mezzo tra faccia da schiaffi e vicino di casa molto smart possono essere carte vincenti in un mondo in cui l’immagine conta e parecchio. Se poi, in tutto questo, serpeggiano allusioni su mitologiche e titaniche virtù nascoste, abbiamo fatto bingo. Eppure se di pacco vogliamo parlare, non è solo quello che può esserci tra le gambe che fa rumore.
La polemica, a/su Sanremo, non manca mai. Andando a zonzo per i social, ti scontri con lo scandalo del pubblico che fa grosso modo così: un tempo si esibivano artisti come Modugno e Mia Martini, adesso abbiamo fatto vincere una scimmia. Dove per scimmia non si intende certo Gabbani, ma il personaggio con cui si è accompagnato nella sua esibizione. Ma mi chiedo (e rigiro la domanda), siamo sicuri sicuri che abbia vinto il vuoto pneumatico? Perché, al netto di quello che si può pensare sul brano (ed è lecito che non piaccia affatto), vi dico subito che non sono d’accordo con questa narrazione.
Al dopo Festival, ieri notte, ormai a tarda ora, un commentatore (perdonatemi, ma davvero non ricordo il nome) teorizzava la vittoria di un testo disimpegnato, rispetto agli altri presentati in gara. Io continuo a credere che questo paese abbia un serio problema di approccio al testo, perché il più delle volte o si commentano le cose senza averle lette oppure le si leggono, ma non le si comprende. Dico ciò perché se andiamo a guardare le parole di Occidentali’s Karma, ciò che emerge non è la solita aria fritta che ricicla se stessa.
Prendiamo la terzina d’apertura: «Essere o dover essere / il dubbio amletico /contemporaneo come l’uomo del neolitico». Non notiamo il recupero del dilemma shakespeariano, con tanto di gioco linguistico sulla parola “dover”, legando la questione dell’identità dell’io all’atavico bisogno dell’uomo di dare un senso alla sua presenza su questo pianeta? E ancora quando canta «Intellettuali nei caffè / Internettologi /Soci onorari al gruppo dei selfisti anonimi» non sembra chiaro il tentativo di critica a una società dell’apparenza che ha trovato nel web la sua consacrazione? Su questo punto, per altro torna quando nel pezzo dice «Per tutti un’ora d’aria, di gloria (alè!)/ La folla grida un mantra / L’evoluzione inciampa». E ricordo, a tale proposito, la questione del “gender” o dei vaccini. Argomenti dati in pasto alla massa che ha finito per crederci, senza che la nostra intelligenza potesse opporre resistenza a quel trionfo dell’ignoranza.
Certo, nessuno – men che mai io – vuole vedere in Gabbani un filosofo sotto mentite spoglie o un sociologo in incognito. Il suo merito, se mi si permette di dirlo, è quello di aver reso questi concetti attraverso una leggerezza che ti fa battere i piedi a ritmo e ti fa sculettare imitando le mosse della scimmia che balla. Leggerezza non è necessariamente sinonimo di superficialità. Questo, ripeto, può essere un merito che possiamo dare al testo della canzone che ha vinto, anche quando fosse inconsapevole. Per alcuni, forse, è una colpa. Di certo, questo brano non è un “pacco”. Almeno per quel che mi riguarda.
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