L’episodio che si è consumato giovedì sera, su La7, e che vede come protagonisti Scanzi e Marattin, il primo giornalista del Fatto Quotidiano e il secondo parlamentare di Italia Viva, il neopartito renziano, è indicativo di come non dovrebbe svolgersi un dibattito in tv. Per una serie di motivi, che potremmo definire come esempi di “mascolinità tossica”. Vediamo, dunque, più nel dettaglio cosa è successo ai microfoni di Otto e mezzo, il programma televisivo condotto da Lili Gruber.
Lo scontro tra Scanzi e Marattin
Come si può notare dunque, nel battibecco tra i due, Andrea Scanzi dice a Marattin che è inguardabile. L’esponente renziano, quindi, rilancia chiedendo: «Non ti piaccio con la barba lunga? Pensavo di piacerti…» e lì il giornalista del Fatto Quotidiano puntualizza: «Sei inguardabile contenutisticamente, di sicuro non faccio riferimenti estetici, ho ben altri gusti». Luigi Marattin, dunque, con un espressione di dileggio controbatte: «Ma insomma, questo non lo so».
Cos’è la “mascolinità tossica”
Per capire di cosa parliamo quando parliamo di “mascolinità tossica”, prenderò in prestito alcuni concetti espressi in due articoli. Ne La 27esima ora, Chada Aliberti l’associa «a un particolare tipo di comportamento comunemente associato ad alcuni uomini, che promuove la mentalità del “uomo macho”, l’aggressività, la misoginia e la “forza”. È una sorta di mascolinità che incoraggia gli uomini ad essere un “vero uomo” che è duro e non mostra paura». Su Bossy, ancora, Benedetta Geddo ricorda: «La mascolinità tossica è l’insieme di criteri che definiscono come un uomo deve essere: tutto il resto non è uomo. Tutto il resto è altro: femminile, debole, disprezzabile. […] Uomini di serie B, se non addirittura non-uomini. Effeminati o “emasculated“, ossia “smascolinizzati”». A ben vedere, è ciò che succede in quei pochi minuti di confronto tra Scanzi e Marattin: il macho che “riduce” allo stato di femminilità l’interlocutore.
In cosa hanno sbagliato Scanzi e Marattin
Ne abbiamo parlato con Lorenzo Gasparrini, filosofo femminista e autore di testi che si occupano proprio di costruzione della mascolinità, come il suo recentissimo NO, edito da EffeQu. «Entrambi usano fondamentalmente tre tipi di violenza» puntualizza l’autore: «Usano stereotipi discriminanti senza mostrarli come tali e senza scendere dal privilegio eterosessuale». Secondo Gasparrini, «se usi quel linguaggio senza scendere dal tuo privilegio, non solo usi espressioni discriminanti, ma mostri disprezzo per quelle persone indicate dagli stereotipi perché li stati usando come mezzo e non come fine del tuo discorso».
Il confine tra stigma e accettabilità
È ciò che fa Scanzi, ad esempio, quando fa notare di avere «ben altri gusti». Un avverbio che segna un limite tra accettabilità e stigmatizzazione. Ma non è tutto. Dallo scambio tra Scanzi e Marattin, ancora, «possiamo dedurre che a loro non frega nulla delle persone che subiscono sulla propria pelle, e quindi nella loro vita, quelle parole che loro usano con indifferenza». Una questione di scarsa cultura della differenza, in altri termini. Per il filosofo, infatti, «si mostrano indifferenti a ciò che succede a quelle persone e a ciò che potrebbe insegnargli sul loro privilegio, o comunque sul loro genere, esercitando così un’ipocrisia violenta».
Le reazioni sul web
L’episodio, che ha portato non pochi mal di pancia dentro la comunità Lgbt+, è stato minimizzato proprio dai supporter renziani. Simone Alliva, sul suo profilo Twitter, ha fatto notare l’enormità delle parole del parlamentare. Tra i commenti a quel tweet, una difesa d’ufficio per l’esponente di Italia Viva: «Perchè omofobo? Adesso non ci si può nemmeno scambiare battute?» si chiede un’utente. E ancora: «Ma quale momento omofobo? Ma di cosa parla?» gli contesta un altro twittero. E anche dentro lo stesso movimento Lgbt+ c’è chi non coglie la gravità di quelle affermazioni. Alliva ha dunque risposto condividendo un vecchio stato di Marattin su Facebook, in cui insultava Vendola con termini non proprio benevoli, nei confronti di un omosessuale.
Scanzi e Marattin, tra caserma e bar dello sport
Quella tra Scanzi e Marattin rimane una pagina della storia della TV abbastanza triste. Per la qualità del dibattito pubblico, in primo luogo: un giornalista affermato come Andrea Scanzi non dovrebbe aver bisogno di alimentare un dialogo in cui si “omosessualizza” l’interlocutore allo scopo di denigrarlo. E Marattin, che copre un ruolo istituzionale, dovrebbe aver capito che questo tipo di approccio ferisce la vita delle persone Lgbt+ proprio perché crea una cultura del dileggio e dello stigma. E per un appartenente ad un (sedicente) partito friendly e “femminista”, almeno nelle intenzioni di chi lo ha fondato, dovrebbe essere qualcosa di inaccettabile. E invece siamo ancora fermi alle battute da caserma e dal bar dello sport.