Dal Regno Unito arrivano i dati di un sondaggio, condotto dalla Health Charity FMA e pubblicato sul FS Magazine che mostrano come un numero impressionante di uomini gay e bisessuali si è rivolto alla pornografia per imparare e conoscere meglio, ovvero istruirsi da autodidatti al sesso omosessuale. Attualmente, nel Regno Unito non ci sono norme affinché l’educazione sessuale comprenda anche i rapporti LGBT, ma laddove sia presente, gran parte dei progetti scolastici sono limitati alla prevenzione dei rapporti non protetti relativamente alla penetrazione.
L’indagine di 1.023 uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini ha evidenziato che l’82 per cento ha riferito di non aver mai avuto a scuola alcuna istruzione circa il sesso gay. Molti degli intervistati dicono di essersi rivolti alla pornografia per l’apprendimento del sesso orale (34%) e del sesso anale (41%). Gli attivisti, ma sicuramente anche tutti gli esperti in materia di educazione sessuale, avvertono che l’utilizzo di porno in questo modo può promuovere pratiche sessuali non sicure o altrimenti rischiose così come alimentare aspettative non realistiche. Infatti il 13 per cento degli intervistati ha confermato di aver avuto rapporti sessuali non protetti dopo aver visto contenuti pornografici della categoria “bareback” (sesso anale non protetto); mentre il 56 per cento ha dichiarato che la stessa categoria “bareback” è la più attraente.
Tali dati e percentuali sembrano far emergere alcune problematiche. La prima è relativa alla conoscenza della pornografia. Già nel 2003, Olgien con “Pensare la pornografia” afferma che tutti consumano materiale pornografico, ma nessuno sa cosa realmente esso sia. L’erotismo, infatti, è l’espressione più tollerata della nudità quando riferita all’atto sessuale, l’eccitazione nasce e si manifesta semplicemente perché scatenata dall’immaginazione del semplice contenuto erotico. La pornografia, invece è la rappresentazione esplicita dell’atto sessuale, dove i genitali hanno ampio spazio nello scenario visivo lasciando poca possibilità all’immaginazione. Va precisato che nel mondo scientifico si definisce “pornografia” quel materiale erotico che è stato appositamente progettato e prodotto per l’eccitazione sessuale, senza ulteriori meriti artistici (Quattrini, 2015). La seconda problematica riguarda l’educazione sessuale.
In Inghilterra, ad esempio, emerge come vi siano dei programmi di educazione sessuale, sottolineando, invece, la carenza di specifici percorsi d’apprendimento al sesso LGBT. In un paese in cui non vi è alcuna regolamentazione sull’educazione sessuale nelle scuole, come l’Italia, pensare di proporre un’educazione sessuale “rainbow” diventa quantomeno insidioso e pericoloso. Perché oltre al pregiudizio sul sesso che ancora viene considerato tabù, si aggiungono i pregiudizi sul mondo LGBT.
Allora che fare? Il consumo del porno da parte dei ragazzi è un fatto reale, dunque creare un clima di discussione, informazione ed educazione faciliterebbe la consapevolezza (in un’ottica preventiva) di ciò che si “consuma” per non cadere in comportamenti disfunzionali quali la pornodipendenza. Nel panorama anglosassone alcuni studiosi (McNair, 2009; Haste, 2013) stanno promuovendo il riconoscimento di una “porno-alfabetizzazione” nel percorso curriculare della scuola statale secondaria. A scanso di equivoci, non si tratta di proiettare film porno nelle scuole, ma di educare al mezzo, alle categorie, di illustrare i vissuti dei performer oltre lo schermo, di palesare le aspettative irrazionali di una prestazione sessuale fantasticata piuttosto che reale e le trame inesistenti. In sostanza educare a ciò che c’è dietro ad un film nudo e crudo. Tale dibattito sull’educazione alla pornografia nasce dalla convinzione che ai giovani al di sotto dei 18 anni dovrebbe essere fornita l’istruzione al materiale pornografico (Quattrini, 2015), in modo da favorire una crescita personale verso il benessere psico-sessuale dell’individuo che, da una parte può facilmente esplorare la sessualità attraverso il materiale pornografico e, dall’altra, divincolarsi da “retaggi e insidie” che la stessa pornografia propone.
Il rischio, altrimenti, è che l’individuo cada in “trappole” stereotipiche che rendono meno naturale il rapporto sessuale, alimentando false aspettative sul sesso e sulle prestazioni che possono influire negativamente sulla propria autostima, nel rapporto con i partner fino a forme più disfunzionali di tipo sessuologico e sessuofobico.
Tale approccio, definito porno-pedagogico ha trovato degli ostacoli durante gli anni ’70 soprattutto per le reazioni delle femministe anti-porno; invece è diventato sempre più attuale dal 2009 grazie a McNair che assume una prospettiva funzionale e di tipo pedagogista supportata da alcune ricerche che evidenziano come gli interventi di educazione che usufruiscono di materiale pornografico sembrerebbe essere indicato per favorire l’apprendimento sessuale in generale e le pratiche sessuali sicure (Albury, 2014). Questo approccio apre ad un compito difficile perché pone nuove sfide agli stessi educatori che devono riflettere sul come educare alla sessualità attraverso la pornografia, senza mai perdere di vista la persona, sia esso l’adolescente o l’adulto, etero, gay o bisessuale: discuterne e aprire al dibattito è sicuramente il primo passo per rompere il silenzio sulla sessualità e per approcciarsi ad “insegnare la pornografia”.