Abbiamo già parlato di
Shape Without Shame,
il progetto guidato da Giacomo Galeotti e Riccardo Righi per affermare la bellezza dei corpi. Bellezza che è a prescindere dalla loro forma,
bellezza di fisicità liberate dalle aspettative sociali rispetto all’ideale estetico che siamo obbligati a rivestire e, di conseguenza, ad essere. Conseguenza della mancata adesione a quei modelli sono fatti come il
body shaming, per quanto riguarda il biasimo sociale, e
atti autolesivi per quello che concerne la reazione personale.
La società ci dice non solo cosa pensare, come vestirsi, quali abitudini seguire: essa ci dice come dobbiamo apparire e, se disobbediamo a questa regola, le conseguenze possono essere dolorose. Il progetto di Galeotti e Righi si pone come poderoso argine culturale rispetto a tutto questo.
Progetto che, per altro, è andato avanti. Evolvendosi. «Siamo passati dal solo corpo maschile anche a quello femminile. Il motto “we are all unsound” sta a significare che tutti ci vediamo in qualche modo difettosi e vorremmo che però questo difettoso diventi unico», dichiarano a Gaypost.it gli autori del progetto. Ed ecco che Shape Without Shame – Unsound apre all’universo femminile. E allora troviamo la storia di Anna, che ci regala la sua testimonianza: «Nella mia vita, ho scelto di collezionare tutte le mie sconfitte. Ho mozzato loro la testa e le ho appese nella mia camera. Ognuna di loro fa ancora un po’ male, se solo ti fermi a pensarci. Mi chiedo quali siano le mie vittorie e alla fine arrivo sempre alla conclusione che la vittoria sono io: me stessa».
Troviamo, ancora,
la vita di Claudia e il rapporto con il suo corpo e il senso di inadeguatezza: «Spigolosa e poco accogliente: ecco come sono. Flaccida. È quello che si legge nei loro occhi o esce dalle loro labbra» ci rivela, parlando degli uomini che ha incontrato.
«Non sono la Bouchet. E nemmeno Jane Fonda. Sono Claudia, e questo mi basta.
Il mio sedere è all’altezza di chiunque io desideri ed è posizionato tra la mia vergogna ed il mio orgoglio: nella mia dignità».
Forme morbide, esuberanti. O la magrezza eccessiva, agli antipodi, che diventa metonimia della propria fierezza. La bellezza “intrappolata” in una statura considerata fuori norma, come nella storia di Alessandra: «I bambini mi osservano curiosi, ma è negli occhi degli adulti che si cela la vera curiosità. O meglio, una curiosità più adulta anche se non del tutto consapevole. Penseranno che io sia sfortunata, una donna cresciuta a metà, uno scherzo della natura. Non potrebbero sbagliarsi di più. Quando mi guardo allo specchio vedo una sopravvissuta, che ha combattuto con tutte le sue forze e questo mi rende radiosa».
Shape Without Shame – Unsound diventa così «un’evoluzione nell’indagare altre fisicità rispetto al primo progetto» ci dicono ancora Galeotti e Righi «ed essere, in tal modo, ancora più inclusivi delle differenze». Una differenza che si frange, come la luce catturata dai cristalli di un prisma, e riverberata nel resto del mondo in un arcobaleno di colori, di scomposizioni della fonte primigenia, di quella “norma” che annulla diversità e che, una volta riconosciuta in tutte le sue componenti, può generare armonie nuove, sfumature dell’essere, una bellezza che non è solo negli occhi di chi guarda, ma anche nel cuore di chi ascolta.
Ecco alcune foto del progetto Unsound.