Non solo Bruce Springsteen e Bryan Adams. Quella che a cui assistiamo negli Usa è una vera e propria sommossa del mondo dello spettacolo, oltre che di quello delle aziende. Tutti contro le leggi omofobe che alcuni stati stanno approvando o hanno già approvato.
Ad aggiungersi alla lista di chi si ribella alla svolta omofoba di alcune assemblee legislative statunitensi, arriva oggi anche Sharon Stone che avrebbe dovuto girare un corto, The Principle, in Mississippi, ma ha annullato le riprese. Per il film sul cyber-bullismo, era stato fissato un budget di 300.000 dollari. “Non lavorerò in alcuno stato che mantenga o crei attivamente leggi che supportano discriminazioni contro i cittadini americani – ha dichiarato l’attrice – che sia per la razza, la religione, il genere o l’orientamento sessuale”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Ringo Starr, ex Beatle e da molto tempo solista, che avrebbe dovuto tenere un concerto in North Carolina. Lo spettacolo, previsto per il 18 giugno prossimo, però, non ci sarà. “Mi dispiace deludere i miei fan di quell’area – ha dichiarato Starr -, ma dobbiamo ribellarci a questo odio. Diffondete pace e amore”.
Al governo del Tennessee, invece, Human Rights Campaign ha inviato una lettera aperta firmata da sessanta dirigenti delle principali aziende del paese che chiedono al govenratore e al parlamento di tornare sui propri passi.
Tra le firme si leggono quelle del vice presidente delle risorse umane di Xerox, quella di Joe Gebbia, co-fondatore di Airbnb, David Karp, CEO di Tumblr, Brian Krzanich, CEO di Intel, John Legere, CEO di T-Mobile, Christopher J. Nassetta, CEO di Hilton Worldwide, solo per citare i nomi più noti anche a noi. Non mancano nomi dello spettacolo anche in Tennessee, come Miley Cyrus che insieme ad altre star della musica ha firmato un altro appello, sempre di HRC.
Infine, la sindaca di Nashville ha lanciato un allarme sulle ricadute economiche di queste leggi che il Tennessee potrebbe approvare a breve. Megan Barry ha dichiarato che solo per la sua città si calcola una perdita di circa 68 milioni di dollari, di cui 10 tra tasse locali e statali che non verrebbero pagate dalle aziende che hanno minacciato di andarsene e altri 58 in mancati introiti dai danni che dubirebbero i flussi turistici, per via di tutte le convention che hanno già annunciato di voler cambiare location.
“È un prezzo elevato da pagare per una legislazione che colpisce alcune persone, tra cui i nostri giovani e le persone più vulnerabili, senza davvero portare benefici a nessuno”, ha spiegato la sindaca.