Nel suo discorso di insediamento pronunciato davanti alla Camera dei Deputati, il neo premier spagnolo Pedro Sanchez si è pronunciato contro la gestazione per altri, volgarmente detta “utero in affitto”. In un discorso di circa due ore, il neo-premier del governo di coalizione progressista nonché leader del PSOE ha usato un minuto per esprimere la contrarietà sua e del governo alla Gpa commerciale. Una cosa, per altro, già vietata in Spagna.
Le reazioni al no sulla gestazione per altri
Esultano i contrari e le contrarie alla gestazione per altri di casa nostra, da sinistra (più o meno) agli ultracattolici vicini alla Lega e all’estrema destra. Il refrain è “la sinistra-sinistra spagnola vieta l’utero in affitto”. Sconforto, invece, in quella parte di sinistra che è favorevole ad una regolamentazione della pratica. Reazioni entrambe comprensibili a cui, però, è il caso di aggiungere qualche elemento che ha a che fare con il modo in cui la sinistra, storicamente, si è rapportata con i diritti civili e con le questioni legate all’autodeterminazione delle donne e dei loro corpi. Perché sebbene siamo abituati a pensare che nei partiti di sinistra, appunto, la porta verso questo genere di istanze sia intrinsecamente aperta, la storia ci racconta qualcosa di diverso. Basta leggere le cronache delle grandi battaglie sui diritti per averne contezza.
Il voto alle donne: tutt’altro che scontato
Ad esempio: l’estensione del diritto di voto alle donne, avvenuto nel nostro Paese solo in epoca repubblicana non fu affatto una passeggiata, neanche a sinistra. Racconta Teresa Noce, partigiana e sindacalista eletta nel primo parlamento repubblicano con il PCI, che anche buona parte del suo partito non fosse per niente convinto di estendere il voto alle donne. «Si diceva» si legge nella sua autobiografia Rivoluzionaria professionale, «che l’arretratezza persistente tra le grandi masse femminili, specialmente in quelle delle campagne e del Meridione, ancora in prevalenza dominate dalla Chiesa, avrebbe portato solo milioni di voti alla Democrazia Cristiana».
L’elettorato femminile, “un fatto pericoloso”
Pietro Nenni, dirigente di punta del PSI parlò di «alcune resistenze» nel suo partito, spiegando che «l’elettorato femminile costituisce un fatto nuovo e, in certa misura, un fatto pericoloso». Lo riporta Anna Rossi Doria in “Le donne sulla scena politica” in Storia dell’Italia Repubblicana. Era una conquista vissuta da comunisti e democristiani come giunta “troppo velocemente”. Si ometteva di considerare che la prima petizione per il suffragio universale risaliva al 1877, a firma Anna Maria Mozzoni. Se sessantanove anni può essere considerato un tempo “veloce”… Furono, comunque, Togliatti per il PCI e De Gasperi per la DC a spingere per questa riforma di civiltà. Peccato, però, che nella prima estensione della legge (il decreto 23 del 1945) dimenticarono di includere il diritto delle donne ad essere elette, oltre che a votare. Il pasticcio fu risolto l’anno successivo. Rimanevano, comunque, escluse le prostitute.
L’aborto e le resistenze nel PCI
Il primo disegno di legge sull’interruzione volontaria della gravidanza fu depositato in commissione a metà anni ‘60, ma il tema si impose in parlamento con la presentazione della proposta del socialista Loris Fortuna, nel 1973. La legge 194, quella tuttora in vigore, è del 1978. Provate solo a immaginare cosa furono quegli oltre diciotto anni di dibattito. Mentre la sinistra che adesso definirebbero “estrema”, ma pur sempre parlamentare, affermò da subito il diritto della donna di decidere sul proprio corpo giudicando la proposta Fortuna troppo timida, nel Pci solo la deputata Adriana Seroni si fece promotrice della questione presso la dirigenza del suo partito, ma fu quasi ignorata.
Il no di Pasolini
Contro la legge sull’aborto si espresse duramente Pier Paolo Pasolini definendolo «legalizzazione dell’omicidio» e considerando l’interruzione di gravidanza come una “comodità” che legittimava il coito tra eterosessuali. Per Pasolini, invece, il coito tra uomini o tra donne avrebbe risolto la questione aborto. L’autodeterminazione delle donne di cui parlavano i movimenti femministi, i radicali e alcune parlamentari di sinistra non aveva alcuno spazio, per l’intellettuale.
Il compromesso con i cattolici
Fu una sentenza della Corte Costituzionale che per la prima volta nel febbraio del 1975 legittimava l’aborto per motivi molto gravi a dare la spinta finale. Vi ricorda niente? A leggere le cronache parlamentari dell’epoca la sensazione di déjà vu è difficile da togliersi di dosso. Inevitabile il compromesso con i cattolici della DC che avrebbero voluto impedire del tutto l’aborto alle minorenni. «Il compromesso che si sta delineando è il colpo decisivo all’autodeterminazione della donna» disse Luciana Castellina in un intervento alla Camera. «Ciò che state facendo non farà altro che approfondire la rottura fra le istituzioni e le donne e i giovani, perché state qui condannando le donne giovani». Com’è noto, uno dei risultati di quel compromesso è l’obiezione di coscienza che negli anni ha reso la legge quasi inapplicabile in intere regioni del Paese.
Lo stupro e la morale
Dinamiche piuttosto simili ritroviamo ripercorrendo la storia della legge sullo stupro. Per arrivare all’attuale testo ci vollero quasi vent’anni. Il primo disegno di legge fu depositato nel 1979: era di iniziativa popolare e aveva raccolto 300.000 firme. Ma perché si promulghi definitivamente la legge bisognerà aspettare il 15 febbraio del 1996. Come ricorda Filippo Maria Battaglia in Stai zitta e va’ in cucina (ed. Bollati Boringhieri), all’inizio del dibattito politico lo stesso PCI si schierò perché la violenza sessuale rimanesse un crimine “contro la morale” e non diventasse un reato contro la persone. A differenza della Dc, che rimase sempre di quell’idea insieme a MSI e PSDI, il PCI poi cambiò posizione. Il “manifesto” del 28 gennaio 1983 titolerà Franchi stupratori. Contro la procedibilità d’ufficio del reato (ovvero l’avvio dell’inchiesta appena si ha notizia del reato avvenuto), in aula si sentirà perfino citare Santa Maria Goretti come esempio di donna che “vuole tacere per sua dignità, per suo pudore”. L’eventuale denuncia minerebbe la dignità della donna, non la violenza subita.
Marx, Engels e le “mutande di latta”
Anche sul fronte dei diritti delle persone Lgbt+, il rapporto tra sinistra e comunità arcobaleno non è sempre stato pacifico e coerente. Figli del loro tempo, i teorici e i politici di sinistra non scamparono a pregiudizi e stereotipi. «Ha tredici anni Wilde nel 1867» ricorda Franco Buffoni nel suo ultimo libro, «allorché Engles scrive a Marx commentando i primi movimenti di liberazione omosessuale in Germania». Le sue parole non risuonerebbero molto distanti da un titolo qualsiasi di Libero. Engels scrisse, infatti: «Se questi vincono dovremo andare in giro con le mutande di latta». Per Buffoni, quella frase contro i “pederasti” diede il via a tutta una serie di fatti di omofobia politica e istituzionale dentro la storia della sinistra.
L’omosessualità in URSS, prodotto della decadenza
D’accordo con questa impostazione è Paolo Pedote, che nel suo libro Storia dell’omofobia ricorda: «Se è quasi naturale che il nazismo e il fascismo […] abbiano individuato nell’omosessuale un soggetto che avrebbe destabilizzato i ruoli di genere (e quindi il potere), il comunismo […] fu solo l’altra faccia della stessa medaglia». Tradendo, lascia intendere Pedote, «l’obiettivo di dare un nuovo assetto affettivo, ambientale e istituzionale all’uomo nel suo collocarsi nel mondo». Quei sentimenti contro le persone omosessuali non si limitarono a giudizi di valore, ma si tradussero in vere e proprie politiche di repressione. Gian Antonio Stella, nel suo Negri, froci, giudei, ricorda infatti che Krylenko, commissario del popolo per la Giustizia in Urss, bollò l’omosessualità come «prodotto della decadenza delle classi sfruttatrici che non hanno niente da fare». In quegli stessi anni, Stalin avrebbe reso l’omosessualità un reato.
“Il lavoro li renderà uomini”
Nel marzo 1965, Giangiacomo Feltrinelli si recò a L’Avana per un’intervista a Fidel Castro. In quell’occasione, gli chiese conto delle politiche repressive contro gli omosessuali. Il Líder Maximo rispose che «l’idea di mandare un figlio a scuola e vederselo tornare frocio» non sarebbe garbata a nessuno. Russia, Cina e Cuba, ci ricorda ancora Pedote, furono i paesi in cui una certa applicazione del marxismo fece molte vittime, proprio tra i componenti della comunità Lgbt+. Emblematica la scritta che capeggiava all’ingresso dei campi di lavoro cubani, in cui venivano internati i gay: “Il lavoro li renderà uomini”. Un tempo, altrove, invece li rendeva “liberi”. Castro chiederà scusa alle persone omosessuali prima di morire e sua nipote Mariela è un’attivista per i diritti Lgbt+.
Certo, si può ricordare che tale trattamento contro la comunità omosessuale nei paesi dittatoriali è soprattutto una conseguenza del fatto che la libertà sessuale rischia di andare contro un impianto totalitario e normalizzante. Ma è anche vero che tale eredità si è prolungata nei decenni e che molti leader di quei regimi sono considerati icone della sinistra.
La situazione in Italia
Anche il comunismo e il socialismo italiani hanno diversi episodi da farsi perdonare, riguardo i diritti e il riconoscimento della dignità della gay community. Gian Antonio Stella ricorda le parole di Togliatti nei confronti di André Gide, che si era espresso contro lo stalinismo: «Al sentire Gide, di fronte al problema dei rapporti tra i partiti e le classi, dare tutto per risolto […] vien voglia di invitarlo a occuparsi di pederastia, dov’è specialista». Pregiudizi, quelli covati a sinistra, contro l’omosessualità, che faranno una vittima eccellente proprio in Pasolini. Il quale scriverà pagine amare sulla esperienza dentro il PCI: «Io sono come un negro in una società razzista che ha voluto gratificarsi di uno spirito tollerante. Sono, cioè, un “tollerato”. […] Il fatto che si “tolleri” qualcuno è lo stesso che lo si “condanni”».
Il Psdi e la criminalizzazione dell’omosessualità
Rapporti burrascosi tra sinistra e comunità Lgbt+ si hanno anche in tempi più recenti e nel più vicino occidente. Gianni Rossi Barilli, nel suo saggio Il movimento gay in Italia, ci ricorda che proprio in Italia una proposta di criminalizzazione dell’omosessualità fu presentata dal parlamentare del PSDI, Bruno Romano. Il testo prevedeva il carcere fino a sei anni per chi consumava rapporti con persone dello stesso sesso. Fino a dieci, in caso di «apologia della condotta omosessuale». Era il 1963… Nei decenni a venire, tuttavia, la situazione sarebbe stata di poco migliore, ma sempre critica. A cavallo tra i due secoli la sinistra si sarebbe mostrata ora pavida ora inadeguata nei confronti della questione Lgbt+. Gestazione per altri inclusa.
La sinistra contro matrimonio e gestazione per altri
I DS, eredi del PCI, elaborarono a fatica una voce sui Pacs nel loro programma, dopo anni di imbarazzato silenzio. Pacs che nel programma dell’Unione, nel 2007, verranno ridotti nei DiCo – generici e limitatissimi diritti individuali che si siglavano tramite raccomandata – per fortuna mai approvati. E se la prima proposta di riconoscimento delle coppie dello stesso sesso risale agli anni ’80, dovremo aspettare il 2016 per avere le unioni civili. Un compromesso, anche in questo caso, che ha lasciato ferite ancora aperte, dentro la nostra comunità. Quando vennero fatti fuori i diritti dei figli delle famiglie arcobaleno (agitando proprio il fantasma della gestazione per altri). Prima di questo, l’unico altro riconoscimento per la comunità era stata la legge 164 del 1982, approvata anch’essa non senza resistenze. Strano a credersi, ma come ricorda Porpora Marcasciano ne L’aurora delle trans cattive, quella norma vide tra le sue più convinte sostenitrici la democristiana Rosa Russo Iervolino.
Tra critica al neoliberismo e resistenze culturali
Se guardiamo oltralpe, la situazione non è sempre rosea. Nel decennio scorso, infatti, la Francia si dotava del marriage pour tous. Ma dentro il Ps francese non tutti furono d’accordo: Lionel Jospin, che aveva legiferato sui Pacs, espresse e la sua contrarietà perché considerava matrimonio solo quello tra uomo e donna.
In questo quadro, ritornando al no spagnolo alla gestazione per altri, dobbiamo anche ricordare che PSOE e Podemos lo condividono in un’impostazione vetero-marxista, che punta esclusivamente alla critica al neoliberismo. La Gpa, infatti, viene vista nell’ottica della commercializzazione del corpo della donna e non come una possibile forma di autodeterminazione.
Gestazione per altri: un copione già visto
Di esempi se ne potrebbero fare altri, ma ci dilungheremmo troppo. Naturalmente, si può argomentare come ognuna delle discutibili posizioni che abbiamo ricordato fosse “figlia del suo tempo”. Ma bisogna anche ricordare che fuori dalle aule parlamentari, nello stesso tempo, si agitavano e premevano dal basso fortissimi movimenti. Senza i quali nessuna di queste battaglie sarebbe stata vinta. Come ancora oggi sentiamo spesso ripetere, il Paese reale era più avanti della politica e, soprattutto, dei partiti. Quei partiti che, almeno a sinistra, non avrebbero cambiato idea e non avrebbero fatto percorsi di elaborazione (fosse anche di convenienza di parte o elettorale) senza quella spinta. Le destre, invece, oggi tornerebbero volentieri indietro perfino sulle conquiste di quarant’anni fa. Ecco, sulla gestazione per altri come sulla procreazione medicalmente assistita per tutte le donne, abbiamo la convinzione che assisteremo ad un copione del tutto simile. Difficile dire quanto ci vorrà, ma arriverà anche quel momento. Sempre che la spinta dal basso non venga mai, mai a mancare.