Il Tribunale per i Minorenni di Venezia ha accettato la richiesta di adozione della figlia della partner presentata dalla compagna di una donna veneta, già mamma a tutti gli effetti della piccola. Per tutti, tranne che per lo Stato. L’ennesima sentenza favorevole ad una stepchild adoption, insomma, ma la prima in veneto.
Il caso
Le due donne, di 37 e 31 anni, vivono in provincia di Venezia e hanno una relazione dal 2006. Nel 2012 hanno deciso che era il momento di allagare la famiglia e, grazie alla fecondazione eterologa, è nata la loro figlia. Il 25 maggio dello scorso anno, la madre non biologica ha fatto richiesta di adozione di sua figlia. È cominciato così il lungo iter che le coppie sono costrette a seguire in questi casi: servizi sociali, incontri con psicologi e via discorrendo. Fino allo scorso 15 giugno quando il Tribunale di Venezia non ha potuto che constatare il legame esistente tra la piccola e la donna e “concedere” la cosiddetta “adozione in casi particolari” perché questo “corrisponde all’interesse dalla minore”, come si legge nella sentenza resa pubblica oggi.
I passaggi controversi
Ma ci sono dei passaggi nella sentenza che destano non poche perplessità. In particolare uno.
In un punto della sentenza, la giudice virgoletta una frase estrapolata dalla relazione degli assistenti sociali, di fatto sposandola. Si specifica infatti come le due donne «siano consapevoli che dovranno avere un atteggiamento aperto verso l’identità di genere della bambina, per permetterle uno sviluppo adeguato e l’opportunità di relazionarsi con persone a orientamento non omosessuale».
Le coppie omosessuali e la bolla d’isolamento
Sembra che per gli assistenti sociali che hanno redatto la relazione e per la giudice che ha scelto di riprendere proprio quella frase, le coppie omosessuali vivano in una sorta di bolla isolata dal resto della società, insomma, fatta solo di persone omosessuali. E sembra trapelare anche la convinzione di fondo che, nonostante non si possa non riconoscere il rapporto tra la coppia e la bambina, il fatto che si tratti di due donne comporti un certo rischio per lo sviluppo dell’identità di genere della piccola confusa, per altro, con l’orientamento sessuale. La sottolineatura, comunque, non ha nessuna conseguenza giuridica.
L’avvocata: “Una vittoria parziale”
“Per questo per noi è una vittoria a metà – commenta a Gaypost.it l’avvocata Valentina Pizzol che insieme al collega Umberto Saracco ha assistito la coppia -. Da una parte la sentenza è un successo perché riconosce la genitorialità della madre non biologica. Dall’altra, quel passaggio motivazionale è censurabile”.
“Nessun giudice, in un caso simile che però avesse riguardato una coppia eterosessuale – continua Pizzol – si sarebbe mai sognato di specificare che i genitori sono consapevoli di dover dare alla bambina la possibilità di relazionarsi anche con persone ad orientamento non eterosessuale. Per non parlare di quella confusione tra identità di genere e orientamento sessuale”. Per l’avvocata, “è purtroppo sintomatico dell’omofobia che ancora permea la nostra società, a tutti i livelli”.