Abbiamo più volte affrontato l’argomento della stepchild adoption o adozione del figlio del partner, ma le recenti novità giurisprudenziali, ovvero la sentenza 12962/2016 della Corte di Cassazione pubblicata oggi 22 giugno, impongono di tornare sul tema.
Vale certamente la pena segnalare come nella sentenza si ribadisca un importante principio di antidiscriminazione nei confronti delle coppie omosessuali, quando la Suprema Corte afferma che l’indagine sull’interesse del minore all’adozione “sia in astratto, sia in concreto, non può essere svolta – neanche indirettamente – dando rilievo all’orientamento sessuale del richiedente e alla conseguente natura della relazione da questo stabilita con il proprio partner”.
Va precisato che questa sentenza non copre il vuoto legislativo perché non ha una forza vincolante in senso “normativo”.
L’estrema importanza della stessa però è data dal fatto che, essendo una sentenza della Suprema Corte, dà un’interpretazione ed un orientamento sull’istituto da cui un giudice inferiore può formalmente discostarsi, ma solo con motivazioni molto solide e con il rischio di venire poi censurato una volta che si torni in Cassazione.
Restano comunque fermi il procedimento e l’iter che prevedono la concessione delle adozioni speciali sono qualora sia verificato in concreto il superiore interesse del minore.
Questo istituto non è una novità legislativa, né – qualora non fosse stato stralciato l’art. 5 dal ddl Cirinnà – sarebbe stata una prerogativa gay. Anzi è vero proprio il contrario.
La stepchild adoption infatti è stata introdotta, per le coppie eterosessuali, fin dal 1983 all’interno della legge sulle adozioni (legge 184), permettendo l’adozione del figlio del coniuge (con il consenso di quest’ultimo) e nell’interesse del minore (che deve essere sentito se ha almeno 12 anni e dare il suo consenso se maggiore di 14 anni).
Il riconoscimento non avviene in modo automatico con la semplice richiesta del genitore adottante e del genitore legale, ma bisogna attivare un procedimento presso il Tribinale per i minorenni di competenza attraverso un ricorso per adozione. Il procedimento deve accertare il legame esistente con l’adottato nonché l’idoneità affettiva ed economica, e la capacità educativa e genitoriale del richiedente.
La stepchild adoption, così come regolata dalla lettera b art. 44 della legge 184/1983, era riservata alle sole coppie sposate finché a partire dal 2007 le Corti italiane non hanno esteso tale possibilità anche ai conviventi eterosessuali nell’interesse dei minori coinvolti.
Appare dunque evidente come, appunto nell’interesse dei minori, non ci fosse alcun motivo per non estenderla anche all’interno delle famiglie omogenitoriali.
A questa soluzione è arrivato, con una serie di sentenze tutte a firma dell’ex presidente Melita Cavallo (la prima del luglio 2014 e le successive dal 2015 in poi) il Tribunale per i minorenni di Roma, prevedendo la possibilità di stepchild adoption anche all’interno di coppie omosessuali in base ad un principio di non discriminazione e nell’interesse superiore del minore di vedere riconosciuta, anche legalmente, una figura genitoriale che già è parte della propria vita.
La norma utilizzata dal Tribunale minorile romano non è stata la stessa riservata alle coppie eterosessuali ma si è ritenuto di accogliere i ricorsi in base alla lettera d articolo 44 della legge 184/1983, ovvero per le ipotesi residuali di adozioni in casi particolari, non regolate in modo dettagliato.
La sentenza del luglio 2014 sul caso esaminato dalla Cassazione, è stata poi confermata anche dalla Corte di Appello di Roma nel dicembre 2015.
Sono seguite poi sentenze anche di altri Tribunali, quali ad esempio la Corte d’Appello di Torino, con la sentenza dello scorso 27 maggio 2016, fino ad arrivare appunto alla Sentenza della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione di questa settimana, che in qualche modo segna l’affermazione importante di un orientamento giurisprudenziale.
In coda va detta una cosa molto importante: a differenza della c.d. adozione piena e legittimante, l’adozione in casi particolari e dunque la stepchild adoption è “semplice” e non estenderebbe, ad esempio, il legame giuridico con i familiari dell’adottante (quali nonni, zii etc…).
Il condizionale però è d’obbligo perché secondo molti commentatori, la riforma dell’art. 74 del codice civile, avvenuta con la legge 219 del 2012, permetterebbe un’interpretazione diversa ed estensiva dei vincoli parentali.
Questo aspetto, così come la possibilità di riconoscere la doppia genitorialità di due padri o di due madri ab origine (di cui abbiamo parlato in una recente guida), siamo certi che saranno temi importanti delle prossime battaglie in tribunale, insieme a quello certamente più importante, e difficile, dell’adozione legittimante di minori in Italia da parte di single e coppie omosessuali.