Il progresso arriva sempre troppo tardi. È questa una battuta di Nuovo cinema Paradiso, il celebre film di Giuseppe Tornatore. Ed è un po’ la frase che potrebbe descrivere la storia di Carmen e Claudia, nella loro lotta contro il tempo. La battaglia contro il cancro, da una parte, e l’attesa per l’arrivo delle unioni civili, dall’altra.
Lo riporta il blog La ventisettesima ora, a firma di Elena Tebano: le due donne stanno insieme da molto tempo, poi Claudia si ammala e comincia il ciclo di chemioterapia. Nel frattempo, infuria la lotta per le unioni civili. Un provvedimento che se fosse arrivato prima, avrebbe assicurato i diritti delle due donne. «Carmen le è accanto ogni momento, sa — anche se non se lo vuole dire — che non c’è più speranza». Se fossero state una coppia di eterosessuali, avrebbero potuto sposarsi. E invece, ci ricorda Tebano, devono aspettare che i tempi del parlamento.
Poi la storia è nota: l’approvazione, l’undici maggio, il balletto sui decreti attuativi e la polemica sui sindaci obiettori. «Tra loro c’è Roberto Dipiazza, eletto primo cittadino di Trieste ai ballottaggi del 19 giugno. In campagna elettorale usa toni duri […] e tuttora la sua amministrazione non concede la sala riservata ai matrimoni per le coppie gay». Il tempo corre, il male pure. Le due donne provano a unirsi civilmente a Lugo, che aveva già approvato le prime unioni in attesa dei decreti, ma il peggioramento delle condizioni di salute di Claudia vanifica tutto. Si chiede alla sindaca di Monfalcone – comune più aperto rispetto ai diritti delle persone Lgbt – di poter celebrare l’unione in casa, ma bisogna prima passare per il consenso del sindaco di Trieste. E il tempo concesso, alla fine, finisce. Di fronte al grigiore della burocrazia e all’insensibilità politica.
«Io a quel punto non ce l’ho fatta più a pensare all’unione civile», dichiara Carmen. E poi arriva «la sera del dieci, dopo una giornata insonne, Claudia sta meglio e si addormenta». La sua compagna le fa compagnia, fino alla fine. «Non si è più svegliata: se ne è andata alle 11, tranquilla, dopo un sospiro». Rimane il vuoto, il senso di impotenza di fronte alla fine, il dolore. Ma non viene meno la voglia di combattere. Carmen, infatti, si rivolgerà ai giudici: «Voglio fare di tutto perché l’unione civile ci sia riconosciuta adesso. Era un nostro diritto, ce l’hanno impedito». Un diritto che riguarda due persone che erano già lì, con la loro verità, la loro testimonianza. E che una politica miope e tardiva non ha voluto vedere, fino all’ultimo.