Perché la storia di Yvan Sagnet riguarda anche le persone Lgbt

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Yvan Sagnet

Navigando sul web, tra una cosa e l’altra, mi sono imbattuto in un articolo su Yvan Sagnet, un ragazzo africano la cui vicenda può insegnarci molte cose, anche come persone Lgbt. La sua storia è esemplare: da sempre innamorato della nostra cultura, si trasferisce dal Camerun a Torino dove diventa ingegnere delle telecomunicazioni. Terminata la borsa di studio, per mantenersi gli studi va in Puglia a raccogliere pomodori, ma qui si scontra con la dura realtà del caporalato.

Da quel momento, di fronte a condizioni di sfruttamento che rasentano la schiavitù, inizia la sua battaglia cominciata con il primo sciopero dei migranti impiegati nell’agricoltura, nel 2011, e che arriverà fino in parlamento dove il 18 ottobre del 2016 viene istituita la legge contro il caporalato. Una lezione di politica e di senso civico che ci coinvolge tutti e tutte, come accennavo in precedenza, e che ci dovrebbe portare a riflettere profondamente. Almeno su tre livelli di ragionamento.

Il primo: la tutela dei diritti negati. I migranti rappresentano una minoranza discriminata, nel nostro paese. Anche il discorso politico pubblico è ben poco tenero con un’intera categoria di esseri umani – ricordiamolo sempre – che viene descritta come bacino di criminalità, fonte di terrorismo, causa di degrado culturale per la nostra civiltà. La vicenda di Sagnet, invece, ci dimostra che quella minoranza trova l’orgoglio di ribellarsi di fronte alle ingiustizie sociali che proprio i nostri connazionali (e ci dispiace per Salvini & co.) hanno perpetrato contro di essa.

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L’attivista inglese Mark Ashton

Orgoglio è una parola, per altro, che dovremmo conoscere molto bene. In inglese si traduce, infatti, con “pride”. E Pride è il nome del film che racconta la figura di Mark Ashton e l’alleanza tra minatori del Regno Unito e comunità Lgbt inglese: insieme, nel 1984, lottarono per portare avanti lo sciopero contro le ingrate politiche del governo conservatore di allora. Sarebbe ora, in altri termini, che anche da noi si portasse avanti questo tipo di iniziative. Non solo perché “conviene”, allargando la nostra base di consenso, ma soprattutto perché è giusto. Ma la questione non si chiude qui.

Il secondo punto di riflessione investe, infatti, la dignità del lavoro e dell’individuo. Una delle ragioni che hanno portato quei lavoratori a scioperare è stato, appunto, il concetto di dignità. Ovvero la considerazione che teniamo di noi stessi/e. Se vogliamo usare un sinonimo: rispettabilità. Essere trattati come schiavi, non andava in direzione di questo modo di percepirsi. Certo, di fronte alle condizioni di partenza di molti di quei braccianti, avere trenta euro al giorno è sicuramente prospettiva migliore alla povertà assoluta o a una vita in un teatro di guerra dove la morte è sempre dietro l’angolo. Eppure, le battaglie per i diritti non si fanno in chiave emergenziale bensì, appunto, nell’orizzonte del pieno rispetto dell’individuo. Senza accontentarsi e tenendo alta l’asticella. Da questo punto di vista, abbiamo davvero ancora molto da apprendere.

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La locandina del film Pride

L’ultimo punto di riflessione riguarda l’idea di sinistra nel nostro paese. La lotta di Sagnet, infatti, dimostra che certi ideali politici sono ancora drammaticamente vitali: come sempre laddove c’è un’ingiustizia e il coraggio e la volontà di colmarla, per trasformarla nella prospettiva di una felicità possibile. Questo è successo nei secoli scorsi con la storia dei movimenti operai, questo accade ancora. Nel presente e nella quotidianità di molte persone. Nonostante il revisionismo quasi naïf – se non fosse in evidente malafede – di certi parvenu della politica che confondono quel concetto ora con un insulto, ora col liberismo più sfrenato (e con lo sfruttamento di contorno).

Riesco a immaginare i discorsi dell’italiano medio(cre) di fronte a quella protesta: “di cosa si lamentano”, “almeno hanno un lavoro”, “non vogliono fare niente”, “dovrebbero solo ringraziare”, “perché non se ne tornano a casa loro”, “meglio poco che nulla” e quanto di meglio può produrre lo pseudo-pensiero, preso in prestito da un riuso di argomentazioni apprese a memoria e utili solo a chi vuole mantenere condizioni di disparità. A tutto questo Sagnet ha risposto con l’amore per il nostro paese e la sua cultura, l’alto senso della propria considerazione sociale, la volontà di non fermarsi e di perseguire fini politici elevati. Tutto ciò ci insegna la storia di questo ragazzo. Saremo in grado di esserne all’altezza?

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