L’orribile duplice stupro di Rimini ha scatenato diverse polemiche. Sorprendentemente, non tanto in difesa o in solidarietà delle due vittime e del ragazzo di una delle due, picchiato a sangue dal branco, ma molto di più nei commenti razzisti per via della presunta (ancora non se ne ha la certezza) nazionalità degli stupratori che sarebbero di origine nordafricana. A leggere gli scritti, anche di autorevoli commentatori, sembra che il reato sia più grave perché commesso, a quanto pare, da stranieri. Il fatto che lo siano anche le vittime, in questa narrazione, non ha peso. Del resto, lo aveva detto la presidente del Friuli Venezia Giulia, la piddina Debora Serracchiani. “La violenza sessuale è un atto odioso e schifoso sempre, ma più inaccettabile quando è compiuto da chi chiede e ottiene accoglienza”, aveva dichiarato, scatenando non poche polemiche dentro e fuori il suo stesso partito.
Uno stupro è uno stupro
“Uno stupro è uno stupro”, ripetono come un mantra le organizzazioni femministe di varia natura da tempo immemore, non importa chi lo compia. Il clima nel nostro paese, però, è talmente avvelenato sulla “questione migranti” che pare diventato impossibile ragionare. Vale la pena notare che, a fronte della condivisibile indignazione per il commento del mediatore culturale (“lo stupro è peggio all’inizio, poi la donna si calma e gode”) un coro unanime ne ha giustamente chiesto il licenziamento, mentre quando il sindaco di Pimonte, meno di due mesi fa, parlò di “bambinata” quasi giustificando un branco di adolescenti del suo paese che avevano violentato una coetanea, nessuno ne chiese le dimissioni. Non deve essere un caso.
I numeri sugli stupri in Italia
E dato che pare difficile ragionare, facciamo parlare i numeri. I dati parlano chiaro: in Italia aumentano gli stupri commessi da uomini italiani e diminuiscono quelli commessi da stranieri. I numeri sono quelli ufficiali del Ministero dell’Interno, diffusi dall’agenzia AdnKronos. Secondo il Viminale, infatti, nei primi sette mesi del 2017 sono 1534 le segnalazioni di violenze sessuali commesse da uomini italiani contro i 1474 casi dello stesso periodo del 2016. Se si considerano gli stupri ad opera di uomini di origini straniere, invece, parliamo rispettivamente di 909 contro 904. L’AdnKronos sottolinea anche che la popolazione maschile della seconda tipologia è certamente numericamente inferiore rispetto alla prima.
Il messaggio di impunità
Ma questo non cambia la dichiarazione della presidente del Telefono Rosa raccolta dall’agenzia. “Più che fare una differenza di cittadinanza direi che il problema è che sta passando un messaggio tremendo di impunità – spiega Maria Gabriella Carnieri Moscatelli -, perché gli stupri in Italia sono all’ordine del giorno”.
In totale, il numero di violenze sessuali registrate dall’inizio del 2017 alla fine di luglio sono 2333, contro le 2345 denunce del 2016.
I dati Istat sulle violenze sulle donne
Lo stupro, che rimane un atto gravissimo, è solo uno degli aspetti delle violenze che le donne subiscono in questo Paese. Se allarghiamo lo sguardo includendo anche le violenze domestiche e i femminicidi, i dati cambiano. Secondo l’Istat, in Italia, ogni due giorni una donna viene uccisa, con una media di 150 femminicidi l’anno negli ultimi cinque anni. Sul totale degli omicidi in cui a morire è una donna, l’82 per cento è classificato come femminicidio, mentre solo il 17 per cento risulta essere un omicidio non legato al genere della vittima. Tra i femminicidi, nel 55,8 per cento dei casi il legame che c’era tra la vittima e il suo carnefice era di natura sentimentale.
La percentuale di uomini italiani che uccidono donne
Sono i dati diffusi dall’ultimo rapporto Istat e realizzato in collaborazione con il ministero della Giustizia che ha suddiviso vittime e assassini anche in base alla nazionalità. Quello che emerge è che il 74,5 per cento degli uomini che si macchiano di femminicidio sono di nazionalità italiana. Tra le altre nazionalità, la maggior parte arrivano dall’Europa dell’Est con il 11,78 per cento. Seguono i nordafricani (6,12 per cento), gli asiatici (3,7 per cento) e gli uomini che provengono dall’America centrale o meridionale (il 2,7 per cento).
Anche tra le vittime, la maggior parte sono italiane: 77,6 per cento, seguite dalle donne dell’Europa dell’Est (13,19 per cento), da quelle dell’America centrale o meridionale (3,22 per cento), dalle nordafricane (2,9 per cento) e infine dalle asiatiche (2,24 per cento).
Servono interventi culturali
A fronte di un quadro complessivo così drammatico, ragionare in base alla nazionalità o all’etnia di chi si macchia di reati contro le donne appare fuorviante e impedisce di avere una visione generale del problema, che rimane culturale lontano dall’essere risolto. Sebbene, infatti, nel 2013 sia stata approvata la legge contro lo stalking, la flessione dei dati da allora è poca cosa (179 femminicidi contro i 145 de 2016. Nel 2012 erano stati 157). Dati dai quali emerge come servano interventi non solo sul piano della repressione e giudiziario, ma anche e soprattutto su quello della prevenzione e culturale.
I centri anti violenza che chiudono
Inoltre, aumenta il numero dei centri anti violenza costretti a chiudere per mancanza di fondi dopo i tagli voluti dall’attuale governo. Come riporta l’Espresso, dei 10 milioni di fondi stanziati dalla legge del 2013, solo la prima parte è arrivata alle Regioni, per altro con notevole ritardo, da cui sembra sparito senza che i centri a cui erano destinati abbiano visto un solo euro.