Qualche messaggio su WhatsApp al fidanzato e poi più nessuna risposta. “Cucciolo, ti amo, perdonami, ti amo” sono le ultime parole che Paolo (nome di fantasia), appena diciottenne, ha mandato al suo ragazzo prima di morire sotto un treno diretto verso Bari. Per i genitori adottivi si è trattato di un incidente, ma c’è un’inchiesta aperta e sono tanti gli elementi che, invece, fanno pensare ad un suicidio. A portarli all’attenzione degli inquirenti sono stati i compagni di scuola e gli amici di Paolo. Secondo quanto riporta la Gazzetta del Mezzogiorno, infatti, i ragazzi riferiscono che l’amico sarebbe stato vittima di bullismo a scuola, ma anche di maltrattamenti da parte dei genitori. Tutto dopo il coming out.
Già un mese fa Paolo aveva mandato un messaggio in cui aveva lasciato intendere di volere approfittare del’ultimo treno per togliersi la vita. È passata qualche settimana prima che mettesse in atto il suo piano. Poco prima della mezzanotte di martedì, Paolo è sceso dal treno, ma invece di imboccare la via di casa, si è incamminato per una stradina che conduce ai binari. Il passaggio del Freccia diretto a Bari è stato letale.
Secondo alcune fonti, Paolo aveva cercato aiuto dai carabinieri, dai servizi sociali denunciando i maltrattamenti e poi anche da uno psicologo. Probabilmente senza esito. Agli amici mandava lunghi messaggi vocali delle liti con i genitori che quando aveva otto anni lo avevano tirato fuori da un orfanotrofio del suo paese di origine, ma che ora gli dicevano che sarebbe stato meglio prendere qualcun altro, da quell’istituto. Riferiscono, gli amici, che i genitori non apparecchiavano più per lui, non se ne prendevano cura come si fa con un figlio: una situazione che sarebbe seguita al suo coming out, al giorno, cioè, inn cui aveva rivelato ai suoi che amava un ragazzo.
Stava passando un’adolescenza tormentata, con un cambio di istituto, qualche fuga da casa e maltrattamenti le cui testimonianze sarebbero in alcune foto condivise dallo stesso Paolo. Prima di finire sotto quel treno ad alta velocità, le ultime parole sono state per quel fidanzato con cui, secondo l’insegnante che era diventata la sua confidente, viveva un rapporto sereno. Il primo è delle 23.15, Paolo scrive a Giulio: “amore”. Poi alle 23.26: “Cucciolo Ti amo Perdonami Ti amo”. Giulio risponde: “Ti amooo” e poi chiede scusa “per cosa?”. Ma prima della risposta arriva il Freccia che travolge Paolo.
Se sia stato un suicidio o un incidente lo stabiliranno le indagini, ma il quadro che emerge resta inquietante e descrive un disagio inascoltato quando non alimentato, forse, da chi gli stava intorno.
Sono un genitore adottivo. Sono passato per tutta la trafila e ho visto “da dentro” come funziona. Non c’è mai stato un operatore sociale che mi abbia chiesto nulla in merito all’omosessualità.
Mi chiedevano della mia posizione in merito alle scelte religiose – cosa avrei fatto se il/la bambin@ fosse di una qualche religione, mi hanno vagliato su come avrei reagito a bambini con difficoltà di apprendimento, con deficit fisici, con problemi di salute, comportamentali. Mi hanno vagliato per vedere come avrei reagito a un* bambin@ di diversa etnia… ma mai in merito alle sue possibili future inclinazioni sessuali.
Ora, sappiamo che candidati all’adozione vengono rigettati se razzisti. Giustamente. Ma la mancanza di una legislazione che condanni l’omofobia impedisce di fatto ai servizi sociali di prendere in considerazione quest’aspetto. Che nel tragico caso riportato sopra è stato origine del suicidio.
Quante vite vengono devastate? Prima l’abbandono della famiglia naturale, poi il rifiuto di quella adottiva…
Credo si debba riflettere e richiedere con maggior urgenza e maggior insistenza una legge contro l’omofobia e che esplicitamente impedisca l’adozione a coppie in cui questo atteggiamento sia rilevato. I bambini prima di tutto.
Ciao Toni, grazie per il tuo contributo. Purtroppo i casi di omofobia in famiglia (sempre che questo rientri nella categoria: ci sono i racconti dei ragazzi, ma c’è anche un’indagine in corso) sono diffusi anche tra le famiglie con figli naturali. La mancanza di una legge è certamente una falla non più sopportabile del nostro sistema, ma lo è anche l’assenza di politiche inclusive e di piani culturali su scala nazionale che educhino alle differenze. Uno sfrozo lasciato alla buona volontà delle associazioni e contrastato con accanimento inaudito da chi sventola l’inesistente fantasma della “ideologia gender”.
Una legge sull’omofobia non sarebbe d’aiuto, sarebbe anzi deleteria. E’ il metodo di scelta dei genitori adottivi a essere sbagliato, perché si potrebbe semplicemente fargli firmare una dichiarazione in cui attestano che accetteranno che il bambino cresca secondo le sue inclinazioni, senza discriminarlo. L’essere omosessuale fa parte delle tante inclinazioni naturali di ogni essere umano e va rispettato non in quanto “categoria protetta” ma in quanto parte della dignità e della personalità di quell’individuo, al pari delle sue idee politiche o dei suoi gusti nel vestirsi (ad esempio). Le leggi mirate a tutelare un singolo aspetto non fanno altro che creare per legge una categoria di “deboli” che vanno protetti, escludendo tanti altri casi ancora più rari, come ad esempio quei ragazzi che, figli di testimoni di geova, vengono allontanati dalla famiglia perché poco religiosi o atei.
Gli strumenti per tutelare i ragazzi in queste condizioni di rifiuto esistono già, perché è già illegale cacciare un figlio non autosufficiente di casa.
Cosa può mai fare una legge contro l’omofobia? Costringere un padre a tenere in casa un figlio che odia? E’ anche questione di istruzione e mentalità, non si può pensare di risolvere tutto con l’ennesima legge. Il rispetto non si insegna con le leggi, né si tutelano con le leggi dei legami che dovrebbero prima di tutto essere affettivi, e poi economici.
Scusami ma non condivido. Quando i servizi sociali ti seguono per decidere se puoi adottare o meno non ti fanno “firmare una dichiarazione” ma valutano, con psicologi, con reiterati incontri e con visite a casa, scandagliando la tua personalità, le tue inclinazioni e valutano se è opportuno o meno che tu possa essere genitore.
Concordo che l’omosessuale va rispettato in quanto persona e non come “categoria protetta”. Ma so anche che “qui e ora” la realtà è che non è rispettato – anzi! – da larghi strati della società. E, nel caso dei bambini senza famiglia, ci devono essere accortezze ancora maggiori per tutelarli, visto che la vita li ha resi deboli.
Sono bambini che nella stragrande maggioranza hanno già subito un abbandono, e cercano disperatamente certezze, certezze che tu ci sia, sia davvero un genitore per loro, qualsiasi cosa succeda. Sono bambini che devono superare un trauma. Che si domandano cosa ci sia stato di sbagliato in loro per essere stati lasciati. La strada per insegnare loro a lasciarsi amare è lunga e difficile.
Senza legge i servizi sociali non hanno modo di impedire agli omofobi di adottare.
Condannare un bambino che ha già sofferto a una vita con una famiglia omofoba, come un bambino “di colore diverso” a una famiglia razzista, è un fatto che non si può sopportare. Umanamente.
La seconda cosa che mi viene in mente leggendo questa notizia è che a questo ragazzo non è stata lasciata neppure la dignità che si fosse parlato della sua morte con il suo nome reale. L’omosessualità è talmente una macchia che non gli è stata concessa neppure questa cortesia. Non doveva essere gay e non deve sapersi che lo è stato e che si è ucciso per questo. Non lo chiamerò Paolo ma non posso che stargli vicino.
Immaginiamo che il nome non sia stato reso noto per ragioni di privacy: c’è comunque un’indagine in corso e potrebbe essere coinvolta la famiglia. È una questione di etica professonale, niente altro.
Scusami, ma con i fatti di cronaca attuali e passati in cui sono in corso indagini (anche su minori) mi sembra un po’ farlocca la scusa dell’etica professionale. Soprattutto se non ci sono mai stati presi provvedimenti che vanno contro l’etica dell’ordine, su ogni media nazionale, per anni.
La privacy funziona per mettersi al riparo da denuncie o per espressa richiesta dei genitori. In entrambi i casi, a mio avviso, indicano che è stato sbagliato essere quello che era.
No, è meglio così. Perché il primo istinto almeno per me sarebbe quello di cercare Giulio… non avrei la forza di lasciarlo solo. E se buona parte avesse il mio stesso istinto… Giulio non avrebbe un attimo di respiro. Non avrebbe neanche il tempo necessario per metabolizzare il suo dolore. Meglio che il nome non si sappia.
Chiedere aiuto tante volte non serve, forse per il ragazzo sarebbe stato meglio tacere la propria condizione, ma quando si è innamorati non è una cosa tanto semplice (o almeno così dicono).
It’s a tough life!
che cosa terribile. Se i sospetti saranno confermati i genitori adottivi sono colpevoli secondo me
Giulio, nel caso tu stia leggendo, so che per te è un momento di grande dolore. Trova la forza di affrontarlo insieme ai tuoi amici, insieme ai tuoi genitori. Lotta per ciò in cui credi. Non aver paura di lottare, non aver paura di essere criticato. Ci sarà sempre qualcuno che lo farà. Fa parte della vita, purtroppo. Lotta anche per Paolo, dimostragli di avere coraggio di lottare, dimostragli che ci tieni veramente alla causa. Dimostragli di essere coraggioso. Non aver paura di lottare. Non farti bloccare dalla paura.