Quello che il Parlamento non è stato in grado di fare, lo sta facendo la società. Non solo i tribunali, ma anche le aziende riconoscono alle coppie omosessuali i diritti legati alla genitorialità. È successo a Torino dove la piccola Greta, nata da pochissimo, vive con le sue mamme: Costanza Frari e Luisa Vinci Garufi. A partorie Greta è stata Luisa, ma dato che la legge non riconosce ancora la genitorialità dell’altra mamma (e non lo farà neanche dopo l’approvazione della legge sulle unioni civili), le due donne hanno deciso di dare alla piccola entrambi i cognomi.
La sorpresa è arrivata quando l’azienda dove lavora Costanza le ha concesso il congedo previsto per i genitori per i figli appena nati, anche se la legge non lo prevede. “Nonostante io non avessi chiesto nulla, visto che, tecnicamente, in base alla normativa, non mi spettava” ha specificato Costanza intervistata dalla Stampa. Non è la prima volta che un’azienda riconosce ai suoi dipendenti omosessuali diritti non ancora previsti dalla legge. Da anni, infatti, molti privati e anche alcune municipalizzate, hanno introdotto il congedo matrimoniale per i propri lavoratori gay o lesbiche che si sposano all’estero o contraggono un’unione civile.
E proprio ieri, un’altra sentenza del Tribunale per i Minori di Roma ha riconosciuto un’adozione “incrociata” ad una coppia di donne che ne aveva fatto richiesta. Come già successo lo scorso 1 marzo, le due donne, assistite dall’avvocata Susanna Lollini di Rete Lenford, hanno chiesto di potere adottare l’una i figli biologici dell’altra e, dopo il consueto iter, il Tribunale ha detto sì, appoggiandosi alla lettra d dell’articolo 44 dell’attuale legge sulle adozioni. “È di tutta evidenza – si legge nella sentenza – che i rapporti esistenti tra le ricorrenti ed i rispettivi figli sono quelli concretamente e quotidianamente tipici di una sana relazione madre-figli”. Come già chiarito dalla guida di Gay Lex sulle cosiddette stepchild adoption, però, nonostante l’adozione incrociata i tre bambini non sono legalmente fratelli tra loro né sono parenti della famiglia della madre addottante (nonni, zii ecc.).
“Il moltiplicarsi di sentenze che riconoscono l’adozione incrociata dei figli dei due partner di una coppia formata da persone dello stesso sesso – ha dichiarato Maria Grazia Sangalli, presidente di Rete Lenford – mette in luce l’assoluta idoneità di queste coppie a svolgere in pieno il ruolo genitoriale ed è scandaloso che di fronte a questa pressante esigenza di tutela dei minori il legislatore si rifiuti di dare una chiara risposta legislativa, addossando ai giudici di farsi portatori di un’interpretazione evolutiva delle norme e lasciando che ai figli di queste coppie vengano riconosciuti minori diritti rispetto a quelli di cui godrebbero con una adozione piena”.
“Grande soddisfazione” per Marilena Grassadonia, presidente di Famiglie Arcobaleno cha ha assistito la coppia insieme a Rete Lenford. Per Grassadonia, la sentenza “mette ancora una volta in evidenza la distanza abissale tra la politica italiana, il diritto e la realtà. È inaccettabile che i nostri figli e le nostre figlie non vengano tutelati in maniera chiara dalle leggi di questo Stato”.