Nel 1982 la legge 164 sancì l’esistenza legale delle persone transgender.
Ai tempi fu una conquista. Ma, come tante altre volte nella storia delle minoranze, ne stabilì una esistenza condizionata dalla definizione patologica che ne avevano dato le scienze mediche.
Fu un patto col diavolo, allora necessario. Quel patto, però, continua a far pagare un costo pesante alle persone transgender, gender creative, non binary e non conforming. Il prezzo è alto sia in termini di dignità, sia economici, di integrità fisica e sotto tanti altri punti di vista.
Quello spartiacque segnò la confusione tra attivismo e collaborazione con il sistema oppressivo medico e legale.
Il tempo passa e le conquiste dell’attivismo transgender procedono in tutta Europa e nel mondo.
Il riemergere di soggettività cancellate dal colonialismo e dal binarismo di genere, come le persone non binary e le persone intersex, porta una nuova prospettiva al dibattito per i diritti. Anche per questo il sistema medico/legale, come lo abbiamo conosciuto finora, comincia a vacillare anche in Italia.
È difficile, in un paese dove il populismo dilaga, differenziare il termine tutela e gatekeeping (sistema che ostacola l’accesso ai servizi e al diritto di autodeterminarsi attraverso il concetto di tutela ed infantilizzazione della persona). Essi si confondono. Tale confusione è aumentata dal filtro potente delle persone titolate a parlare per la comunità trans, intersex e non binary.
La costruzione di un racconto egemone sulle persone transgender e sull’attivismo trans è un nodo che deve essere sciolto con un lavoro di memoria collettiva e scrivendo nuovi documenti e narrazioni anch’essi collettivi.
Nell’ultimo decennio molti sono stati i passi in avanti, in Europa e nel mondo, per i diritti delle persone trans*. A partire dalla risoluzione 2048 del PACE (Parlamentary assembly) del 2015.
Il documento riconosce alcune pratiche dei protocolli per accedere alla transizione come abusi. Per esempio l’obbligo di una diagnosi, la lunghezza dell’iter e i tempi non certi, l’esperienza di real life (tempo di prova in cui la persona transgender deve vivere nel genere percepito). Nel frattempo si è assistito all’approvazione di leggi basate sull’autodeterminazione di genere in diversi Stati.
In Italia, invece, si esercita un ostruzionismo strisciante con la diffusione dell’idea che l’autodeterminazione porti alla perdita della gratuità dei servizi (tale solo per alcuni servizi, poiché il costo sulle spalle delle persone transgender è elevatissimo). Questa narrazione è sconfessata totalmente dai testi di legge approvati nell’Unione Europea in questi ultimi cinque anni.
Di fatto, a livello internazionale, si è accettato il contenuto della risoluzione PACE 2048, adottando totalmente il concetto di autodeterminazione, accesso ai servizi, protocolli trasparenti e celeri, diritto al servizio.
In alcuni casi, prima di presentare un disegno di legge, si è proceduto a raccogliere le istanze delle persone direttamente interessate attraverso questionari. È questo il caso degli Stati Uniti e del Regno Unito.
Tra ottobre e novembre, grazie al lavoro di tante persone, due episodi hanno dato un segnale di ripresa di politiche transgender degni di nota.
L’elaborazione e diffusione di un questionario sulla situazione delle persone transgender riguardo l’accesso ai servizi per effettuare la transizione e assemblea di Roma in occasione del Tdor.
Dal primo è emersa chiaramente la necessità, per le persone transgender e non binary, di decostruire i protocolli imposti da una scienza medica lontanissima dalla realtà e tutelata dai concetti di Stato di sesso e genere. Un quarto della popolazione trans* intervistata vorrebbe accedere alla transizione medicalizzata ma è frenata da vari fattori. Tra questi le ripercussioni sul lavoro, i costi da affrontare, i tempi lunghi e la paura di essere patologizzati. Emerge il fatto che i protocolli sono percepiti dall’utenza come patologizzanti (43%) e che purtroppo sono oggetto di valutazione sia l’orientamento sessuale sia l’espressione di genere (questo in maniera stereotipata, costringendo le persone transgender a provare la propria identità di genere e mettendo in grave difficoltà le persone non binary).
Il 66.7% delle persone trans* che hanno partecipato al questionario credono che le associazioni di Movimento non debbano sostenere gli attuali protocolli di transizione.
Più della metà dei rispondenti trova lesivo che la propria identità debba essere validata da terze persone, che vi sia un percorso psicologico coatto, che sia imposta una diagnosi. Che altro non è che quello che stabilisce la risoluzione Pace.
L’88,4%, poi, pensa che la legge 164 non tuteli i diritti delle persone trans*. Il 73,2%, infine, desidera il modello del consenso informato. Chiede, cioè, di sperare i protocolli attuali e allineandosi con i modelli europei che stanno emergendo grazie alle battaglie degli attivist* trans*.
Il questionario, elaborato e somministrato dalla Rete Trans di Arcigay, ha raccolto le risposta di 370 persone e sarà ripetuto per ampliare il campione.
L’assemblea di Roma ha visto una partecipazione altissima e l’incontro di generazioni diverse. Dall’incontro sono emersi i nodi e le diffidenze storiche, ma anche il netto posizionamento verso l’autodeterminazione di genere e la messa in discussione dello stato di fatto.
La necessità di condivisione ed orizzontalità ha riportato, non senza tensioni che si stanno dipanando anche in questi giorni, sullo stesso piano realtà diverse, ricollocando realtà finora egemoni allo stesso livello di tante altre, escluse da una mitologia, più che da una storia di attivismo. Le nuove realtà hanno espresso l’esigenza di essere ascoltate e di sciogliere i nodi di equivoco con chi esercita potere sulle soggettività per creare una politica indipendente da interessi e ricatti.
Da questo spirito, in attesa dell’incontro deciso in assemblea, è emerso il desiderio e la necessità di confrontarsi ancora e rivedersi.
Così nasce l’evento della due giorni di Bologna di dialoghi di politica trans. Un evento che non sostituisce né scavalca la linea di Roma, ma che risponde ad una necessità precisa.
Vi è un bisogno viscerale ed un desiderio di contatto oltre i social di incontrarsi ed incontrarsi spesso.
Il vedersi dal vivo, confrontarsi, sciogliere nodi, non può avere il ritmo dei tempi lunghi né può essere rivendicato come proprietà o additato come un affronto.
Il dialogo è stato aperto. Si può partecipare, si può non partecipare, si può dissentire e si può andare avanti insieme. Il movimento trans* ha una lunga storia anche di conflitto e di affossator*.
Ma è importante mettersi in gioco, stare lontan* da chi predica le virtù negative e dalle strumentalizzazioni. Siamo qui. Siamo reali. Partecipiamo.
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