Immersi in un’atmosfera intima durante una cena in salotto, due persone raccontano la propria storia attraverso ricordi, fotografie, sorrisi e sentimenti di commozione. La storia di un viaggio, dall’infanzia al presente ripercorrendo alcune vicende che hanno scandito il loro percorso di crescita, con dolore, fatica e lucida consapevolezza. Metamorfosi, il film documentario di Paolo Lipartiti (2014) crea uno spaccato di vita quotidiana sulla decisione coraggiosa e liberatoria di cambiare sesso, affrontando il tema del transessualismo attraverso le storie dei protagonisti e i contributi degli esperti sulla questione dell’identità di genere.
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Nella cultura occidentale prevale la tendenza a considerare come accettabili solo due modalità alternative ed esclusive del genere sessuale, maschile o femminile, a seconda dell’aspetto esteriore del corpo biologico. Infatti, un determinato aspetto e determinati comportamenti vengono associati a specifiche categorie di genere, generando stereotipi culturali, relativi all’essere maschio o femmina, ancora molto diffusi e particolarmente rigidi. Ma è noto come una minoranza di persone, definite transessuali, viva una disarmonia tra gli aspetti biologici e l’identità di genere, con la costante e drammatica consapevolezza di appartenere al genere opposto. Tale condizione suscita ancora paura e pregiudizio, che si traducono velocemente ed ancora troppo spesso in stereotipi e discriminazione con conseguenze talvolta anche tragiche per l’individuo transessuale che vive uno stato di maggiore stress e disagio (Simonelli, 2006).
In questi termini, l’individuo transessuale sente di essere imprigionato in un corpo che “non lo rappresenta”, perseguendo in ogni modo l’obiettivo di “trasformazione”, sperimentando ed ottenendo le sembianze del sesso opposto attraverso l’abbigliamento, il trucco, muovendosi e parlando con modi in conformità al genere desiderato, dimostrando al sociale il proprio modo di essere, la propria rappresentazione come individuo che si è visto intrappolare un’anima maschile o femminile nel corpo sbagliato. Discostarsi dal genere o dalla sua espressione perché non conforme a quella biologicamente costituita, il primo, o perché non conforme a quella “richiesta” (dallo stereotipo sociale), la seconda, vuol dire sicuramente “essere diverso”, ma non per questo “malato”. Non si giustificano, dunque, comportamenti e atteggiamenti discriminatori e transfobici. Ciò non toglie che la condizione della persona transessuale è una situazione complessa, in cui il rispetto per l’altro diverso da sé e l’empatia per ciò che il transessuale si prepara a divenire possano mettere in ascolto, dunque, della persona, nella sua “nuova”, ma soprattutto della sua “vera” integrità ed identità.
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