Come sapete, oggi si celebra il Transgender Day Of Visibility, il giorno della visibilità delle persone trans. Per celebrarlo, abbiamo chiesto ad Ethan Bonali, un uomo trans, di raccontarci la sua storia. Lo ringraziamo per avere accettato e ci auguriamo che la leggiate tutta perché secondo noi vale la pena.
Di Ethan Bonali
Diciamo che già nascere non è stata una passeggiata né una cosa così naturale.
Sono nato di dieci mesi con cesareo, complicazioni post parto e assegnazione del sesso femminile. Mia madre, molto giovane ai tempi, non riuscì ad essere presente, ad essere una figura di riferimento. Ricordo ancora la prima volta che la vidi e la sensazione che ebbi: una ragazza, una visitatrice timida. Fui cresciuto dai miei nonni materni, consapevole di non avere una figura o una casa fissa ma prigioniero e trasportato dalla casa paterna, luogo di isolamento e conflitto tra i miei genitori, a quella dei nonni, il luogo sociale.
Credo che la mia identità si sia formata seguendo gli interessi e il fascino che le persone esercitavano su di me. Le donne erano profumate, parlavano poco ed erano sempre chiuse dietro porte; porte di cucina, porte di atelier di sartoria, porte della sala tinture del parrucchiere. Tutte quelle porte chiuse mi hanno fatto pensare di essere “altro” da loro.
Ne ero affascinato.
Gli uomini, la mia società
Gli uomini, invece, mi aprivano tutte le porte; quelle del negozio del calzolaio dove si riunivano gli artigiani della via, quelle del pittore, del poeta, del pescatore.
Gli uomini erano la mia società, il mio modo di parlare, il mio modo di ridere.
Non c’era ancora conflitto con il corpo, ma solo qualche domanda che mi lasciava sospeso tra un senso di appartenenza e la constatazione di differenze fisiche.
Avevo un nome, ma stranamente non ricordo che mi fosse ostile e nemmeno ricordo di essere mai stato chiamato con quel nome, fino alla comparsa di un’evidente apparenza femminile. Quello che, della mia storia, rientra nella “narrativa ufficiale trans” è la coscienza precoce di non appartenere al genere femminile ma non ricordo una repulsione per il mio corpo, né la sensazione di essere “nato nel corpo sbagliato”.
Ricordo la delusione nel vedere crescere il seno e, forse, una lieve paura di non appartenere più a nessuno dei due mondi. E questa sensazione di estraneità non è più andata via.
Non rispondevo alle caratteristiche attribuite alle bambine, ma non avevo il corpo di un bambino. Ero inconsapevole del mio corpo perché non potevo viverlo socialmente.
La consapevolezza di mentire
Performavo un genere femminile, il genere che mi era richiesto, ma ero consapevole di mentire. Non è stato il mio sesso biologico a pormi dei limiti o impormi una infelicità, quanto l’apparenza del mio genere/sesso. Ma l’intuizione dell’essere umano è incredibile.
Provai a conformarmi alle dinamiche di innamoramento e a quelle fisiche, di approccio sessuale delle ragazzine della mia età. Sperimentai il terrore di non provare nulla, di non provare piacere, di non innamorarmi. Fino a quando fui “visto” da Chiara. Frequentavo le scuole medie e lei era, semplicemente, la più bella della scuola. Non fummo mai consapevoli delle implicazioni del tempo passato insieme, degli sguardi e di come ci sfioravamo.
Lei non mi guardava come avrebbe guardato un’altra ragazza. Sono gli occhi degli altri che sciolgono i paradossi. Chiara aveva un modo di guardarmi, di sfiorarmi e cercarmi che era sensuale e sessuale. In qualche modo, di nascosto, stavamo rompendo tutte le regole.
Il distacco da se stesso
In qualche modo, il passaggio dalle scuole medie al liceo fu la perdita della mia identità maschile e l’inizio di anni di distacco da me e dal pensiero di me. Ero puramente pensiero.
Quando mi chiedono cosa sia l’identità di genere non posso fare a meno di pensare che la mia consapevolezza è stata formata dall’espressione di genere, dal ruolo di genere e dall’immagine che il mondo mi rimandava. Quel nucleo identitario, minuscolo, non riuscivo più a vederlo. Cinque anni di liceo nei quali fui inavvicinabile dai miei coetanei e da me.
Mi innamoravo delle mie compagne, ma da lontano e in segreto.
Ho usato il mezzo più subdolo e pericoloso contro il mio corpo: mi sono distaccato.
E anche più tardi, quando entrai in contatto con l’ambiente lesbico, quella sensazione di non completo appagamento rimase. La possibilità di vivere la dimensione sessuale ritardò di molto la mia ri-presa di coscienza. È stato un cammino fatto di verità parziali e tentativi e, soprattutto, di segretezza e invisibilità.
Sono passato dal performare la massima femminilità ad una mascolinità androgina e a sperimentazione degli stereotipi maschili per consolidare la mia identità.
La scelta del nome
Ma il gesto più potente è stato quello di darmi un nome: Ethan. Significa custode, eterno cambiamento. Era il nome che mi ero scelto da bambino.
Paul Preciado dice: “Cambiare nome è un’esperienza politica di una forza straordinaria. Il nome Paul mi è venuto in sogno e ho saputo subito che era il mio. Ma fin quando gli altri non lo usano il tuo nome non esiste. Ogni volta che qualcuno pronuncia il mio nome lo sento come un atto di sovversione, in complicità con il mio dissenso di genere, e insieme il riconoscimento del mio diritto di esistere al di fuori della norma. È un piacere politico ineguagliabile. Quando qualcuno mi chiama Paul è l’intera società che è coinvolta in un processo di transgenderizzazione”.
La cessazione di un segreto
È stato più di questo. Il nome mi ha fatto trovare la mia gestualità, il mio modo di parlare.
Il nome ha fatto sì che il mio corpo potesse fare ciò che il filosofo Nancy gli attribuisce: avanzare nell’esistenza. È la cessazione di un segreto.
Con questa consapevolezza guardo al passato consapevole che ogni ricordo nasconde una violenza silenziosa e inconsapevole cui sono stato sottoposto.
È un trauma dover rivedere la propria vita in questo modo. È stata una violenza continua, perpetrata con amore dai miei genitori, dai miei parenti, dagli insegnanti e dagli amici.
Una violenza che mi sono anche inflitto da solo.
Espormi mi ha reso libero
Ora inizio la rieducazione dei sentimenti, perché un corpo non vissuto ha solo il concetto delle cose. L’amore mi confonde. Rieduco anche l’espressione di genere e il modo di pormi con l’esterno. Non ha senso, per me, il maschile o il femminile. Sono entrambi. Ho una espressione di genere maschile ma un’interiorità che è indefinibile. La mia sessualità mette in discussione l’eterosessualità, l’omosessualità è la bisessualità. Sono orientamenti che si basano sul paradigma binario maschio/femmina. Ho appena iniziato e non so dove arriverò.
Ma la cessazione del segreto è avvenuta. Espormi mi ha reso libero.