Quella bimba ha diritto al cognome comune scelto dalle sue mamme, unite civilmente. Lo ha stabilito il Tribunale di Lecco esprimendosi su un caso di cui si è occupata
l’associazione Rete Lenford con gli avvocati Vincenzo Miri e Stefano Chinotti e la presidente Maria Grazia Sangalli.
L’ordinanza del Tribunale di Lecco inibisce all’Ufficiale di stato civile del comune di cancellare dalle schede anagrafiche della bambina e delle due donne il cognome comune scelto dalle mamme per sé e poi trasmesso alla piccola nata un mese dopo.
In contrasto con i decreti attuativi
Una decisione che va contro quanto stabilito dai decreti attuativi della legge sulle unioni civili che avevano fatto retromarcia rispetto al precedente decreto ponte, proprio in materia di cognome comune imponendone la cancellazione.
Le due donne si erano sposate in Portogallo e poi avevano chiesto la trascrizione del matrimonio al comune. In base alla legge Cirinnà, il loro legame è stato trascritto come unione civile per la quale avevano scelto il cognome comune. Lo stesso cognome, come prevedeva il decreto ponte, era poi stato trasferito alla figlia, nata un mese dopo l’unione.
L’interesse supremo del minore
I decreti attuativi emanati successivamente, però, stabiliscono che il cognome comune sia declassato a semplice “cognome d’uso” e non trascritto sulle schede anagrafiche della coppia. Questo impedisce che si possa trasmettere ai figli.
Per il Tribunale di Lecco, si è prodotta una “una lesione della dignità della persona e dell’interesse supremo del minore”, protetti anche da norme sovranazionali. Per questo ha imposto che non si applicasse, quanto stabilito dai decreti attuativi.
Secondo il giudice, il nome ha la funzione “di tutelare il diritto alla proiezione sociale della persona” e alla “di identificazione sociale”, tutelate dalla Costituzione.
I figli delle coppie omosessuali
A proposito dei figli delle coppie unite in base alla legge 76/2016, poi, il Tribunale ha ricordato che, in base alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, “l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private” aggiungendo che “il diritto del figlio alla conservazione del proprio status familiare e alla salvaguardia della propria identità, quale principio fondamentale dell’individuo, recentemente sta ottenendo sempre maggiori riconoscimenti dalla giurisprudenza”.
Soddisfatti gli avvocati di Rete Lenford e Famiglie Arcobaleno
Gli avvocati di Rete Lenford hanno scelto il procedimento d’urgenza per chiedere al giudice di pronunciarsi e, a loro avviso, proprio questa decisione ha impedito “anche solo per un istante la lesione di diritti costituzionalmente protetti e come la tutela dei diritti riconosciuti dalla legge Cirinnà, almeno per le unioni costituite sino all’11 febbraio 2017 (data di entrata in vigore dei decreti attuativi), non possa essere frustrata da disposizioni normative che sono state emanate in via retroattiva e in palese violazione di interessi fondamentali sia delle coppie sia dei loro figli”. Per le unioni civili successive a quella data, scrivono i legali in una nota, “occorrerà, naturalmente, ripristinare la portata anagrafica del comma 10 della legge Cirinnà nelle opportune sedi giudiziarie, al fine di assicurare – nel preminente interesse anche dei bimbi arcobaleno – il pieno esercizio di quei diritti soggettivi riconosciuti dalla legge, ma maldestramente eliminati dal Governo”.
La presidente Marilena Grassadonia dichiara “La sentenza del tribunale di Lecco restituisce dignità alle nostre famiglie – commenta Marilena Grassadonia, presidente di Famiglie Arcobaleno – in quanto sottolinea la necessità di preservare il diritto del minore ad utilizzare il cognome familiare acquisito fin dalla nascita e riportato nel codice fiscale. Crediamo che i nostri figli e le nostre figlie meritino più rispetto da parte delle istituzioni. I diritti non possono essere temporanei o riconosciuti a corrente alternata”.
Per le due mamme, Serena e Chiara, socie di Famiglie Arcobaleno, la sentenza “ha un enorme valore simbolico, in quanto ci connota come famiglia e permette alla nostra bambina di vedere configurata nel suo cognome l’appartenenza ad entrambe le nostre famiglie d’origine. Questa nostra prima battaglia è stata vinta, ora lotteremo affinchè la nostra bambina, oltre al cognome, veda Chiara riconosciuta legalmente come madre. Ringraziamo Rete Lenford e Famiglie Arcobaleno per tutto il sostegno ricevuto”.