E quindi abbiamo scoperto che i gay del trono gay sono trash e bugiardi tanto quanto gli etero del trono etero. Che sorpresa!
Claudio Sona, il tronista della prima edizione gay di Uomini & Donne era già fidanzato prima di partecipare al programma, quindi tecnicamente non corteggiabile. A rivelarlo, l’ex di Sona che ha addirittura pubblicato degli audio, poi cancellati, che inchioderebbero il tronista. Niente che chi non segua Uomini e Donne non abbia già visto o sentito a proposito delle versioni etero del programma. Eppure le reazioni, al netto del gossip, sono state al limite dello scandalo.
Che dirà, ora, la signora Elsa?
Perché? Perché il programma era stato salutato come “lo sdoganamento definitivo dell’amore gay in tv”. In uno degli show più popolari e seguiti, per altro. Quello che la signora Elsa avrebbe certamente guardato accettando definitivamente che sì, ci sono uomini che amano altri uomini e non c’è niente di sbagliato.
Lo “scandalo” della bugia che Sona avrebbe raccontato pur di accedere al trono (e quindi il tradimento del suo ormai ex) inficerebbe il messaggio della trasmissione.
E perché mai, mi viene da chiedere? Perché il pubblico di quel programma, che è abituato a quella narrazione e, evidentemente, la apprezza, dovrebbe giudicare peggio le bugie e i tradimenti di un gay rispetto a quelli di un etero? Se lo fa, è per omofobia.
E per evitare il giudizio della signora Elsa, si deduce da molte reazioni all’interno della comunità LGBT, “avrebbero potuto darsi una regolata”. Perché, si legge in giro, avevano un ruolo di simbolo positivo. Un ruolo, che, probabilmente, è stato loro dato senza che i protagonisti avessero dato il loro consenso. Con ogni probabilità, Sona e i suoi corteggiatori hanno partecipato al programma non per spirito di dedizione alla causa dei diritti, ma per ottenere quello che qualsiasi tronista cerca: qualche anno di luminoso e ben retribuito successo. E a quello scopo, il gossip funziona benissimo.
L’ansia da prestazione
Avrebbero dovuto fingere, dunque, di essere migliori degli altri. Eccola lì, di nuovo, l’ansia da prestazione. La stessa, perdonate il paragone che potrebbe sembrare azzardato, per cui “ai pride meglio sobri, perché altrimenti la gente non capisce, non ci accetta e poi non ci danno i diritti”.
Nel periodo immediatamente successivo all’approvazione della legge sulle unioni civili, ho letto molte critiche, anche feroci, sul fatto che si era data una visione mediatica “normalizzata e normalizzante” delle coppie same sex e delle famiglie arcobaleno. Un’immagine di perfezione che non corrisponde alla realtà, data solo per rappresentare qualcosa che fosse accettabile da parte della maggioranza etero del Paese. Narrazione più subita che agita, a mio avviso, ma questo è un altro discorso.
Quando, però, quell’immagine viene “intaccata” dai gossip post trono gay, parte il panico. E perché, di grazia?
Le coppie gay e lesbiche si amano per tutta la vita, a volte si lasciano, a volte si tradiscono, a volte sono fedeli e a volte promiscue. Capita che vivano relazioni poliamorose come relazioni monogame. Sono coppie fatte di persone. E a volte sono bugiarde e stronze, queste persone. Per fortuna, direi, ché la perfezione è di una noia mortale! Quindi? Cosa ha a che fare questo con l’integrazione, “l’accettazione”, i diritti e tutto il resto? C’entra, nel caso specifico, con il contratto che ha firmato Sona con la produzione del programma, ma è una cosa che non ci riguarda, com’è evidente.
I diritti con le schede a punti
Quello che ci riguarda, invece, è che è nuovamente il caso di ribadire che non si combattono le discriminazioni e l’omofobia fingendo di essere diversi da quello che si è. Ci interessa ricordare, di nuovo, che il diritto di cittadinanza, piena cittadinanza (quindi di sposarsi, divorziare o di non sposarsi mai, di fare figli o di adottarli, di salire su un autobus senza essere cacciati perché si è trans, di andare a lavorare senza subire ritorsioni dopo il coming out, di non essere oggetto di violenze e bullismo a scuola perché ci piacciono le persone del nostro stesso sesso ecc), non è qualcosa che si deve dimostrare di meritarsi. Non è una raccolta punti del supermercato. È, appunto, diritto e in quanto tale spetta ad ogni essere umano, per definizione. Tutto il resto è minority stress.
Cara Maria, ricordati di Spiderman
Un’ultima considerazione. Fermo restando che sono convinta che buona parte del presunto portato sociale sia stato attribuito al trono gay dal pubblico, dagli osservatori e dalla comunità, rimane il fatto che produzione e conduttrice un po’ hanno alimentato questa visione. È stata la stessa Maria De Filippi, in un’intervista dello scorso settembre a dire: “Non penso che una scelta come questa serva per il mondo gay risolto, ma può essere d’aiuto per chi a casa ha ancora problemi con parenti e amici, per chi è vittima di bullismo e viene spregiativamente chiamato ‘frocio'”.
Nobile intento, sia chiaro. Ma quando si sceglie di sposare una causa, quella contro l’omofobia nel caso specifico, bisogna anche assumersene le responsabilità. E una guru della comunicazione come la De Filippi è, non può non sapere che i potenti riflettori che si sono accesi positivamente sulla sua scelta sono gli stessi che poi vengono dirottati su tutta la comunità per quello che viene comunemente identificato come un errore, fosse anche di uno solo. Perché si sa che quando chi appartiene a una minoranza commette quello che la maggioranza vede come “errore”, il peso specifico è diverso. In fondo, lo diceva anche Spiderman: “Da grande un potere derivano grandi responsabilità”.