“Ho perso le parole”, cantava molti anni fa Ligabue, in una sua famosissima canzone di successo. Ma i termini giusti, a questo giro, Vera Gheno e Federico Faloppa li hanno trovati. In un volumetto di agile lettura, pubblicato da Edizioni Gruppo Abele, che esce proprio oggi in libreria: Trovare le parole – Abbecedario per una comunicazione consapevole. L’opera parte da una teoria molto interessante: l’errore di interpretazione e il conseguente rischio di fallimento nella comunicazione verbale. Eventualità da non considerare come eccezione, bensì come rischio calcolato. Siamo, per altro, creature limitate e fallibili. Costruire un messaggio e ripercorrere il modello jakobsoniano che porta al successo comunicativo diviene – dunque – non un diritto, ma una possibilità. Da percorrere.
Un abbecedario. Ventisei termini ombrello, in ordine alfabetico, che aprono riflessioni più ampie sul tema della comunicazione e – nello specifico – su quello della comunicazione in rete. Gheno e Faloppa ci ricordano che viviamo in un tempo in cui siamo liberə di dire ciò che vogliamo, attraverso un mezzo potentissimo: la rete. Mezzo che se da un lato apre ad infinite possibilità, dall’altro ci espone a rischi e pericoli. Saper maneggiare questo strumento di comunicazione è fondamentale. E il web, ricordiamolo, è un ipertesto. Fatto di parole e modulato su linguaggi specifici. È su questa dimensione che occorre lavorare. E questo abbecedario è uno strumento utilissimo, per perseguire lo scopo.
“Ascolto” è la prima delle parole che vengono analizzate. Una democrazia matura non si basa tanto (e solo) sulla libertà di esprimere le proprie opinioni, ma proprio sul dovere all’ascolto dell’altrə. Prestare attenzione, cioè, a chi si ha di fronte. Rivedere asimmetrie, costruire uno spazio di incontro con l’alterità. E non solo. Interessante ancora l’analisi della parola “balcone” associata all’uso dei social network. Una finestra dalla quale ci si può affacciare sul mondo, ma che non ci permette – proprio come dai balconi di casa nostra – di mettere a nudo ogni parte di noi (soprattutto quelle più instintive e immediate).
E ancora, importante l’attenzione rivolta alla parola “educazione”. Laddove, soprattutto, si intende educazione linguistica – ricordiamoci della potenza del mezzo utilizzato – che deve andare di pari passo con l’educazione emotiva. Non è solo lo strumento ad esser posto sotto osservazione, ma soprattutto chi lo abita. Gheno e Faloppa auspicano una vera e propria alfabetizzazione che deve essere “civile”, prima di ogni altra cosa. Per evitare di cadere nella tentazione di costruire l’ennesima “gogna” – altra parola analizzata nel libro – soprattutto quella mediatica, dove il popolo del web può sfogare gli istinti peggiori.
È un’attenzione particolare la troviamo laddove si parla di “hate speech” e di “legislazione”. Sappiamo, in quanto comunità arcobaleno, quanto i discorsi d’odio possano concretizzarsi sulle nostre esistenze. Nel libro si stana il meccanismo dell’hate speech, che annulla la forma dialogica all’interno del conflitto e riduce le soggettività disprezzate a soggetti a cui viene tolto proprio la possibilità di quell’ascolto di cui si è appena parlato. E non manca, per quanto riguarda l’altra voce, una parentesi sulla legge Zan, sottolineandone la necessità. Proprio per porre un’argine all’odio.
Trovare le parole ha un’ambizione: «favorire la comprensione di certi fenomeni e stimolare l’agentività, cioè l’azione in prima persona». Infatti, affermano Gheno e Faloppa «passiamo troppo tempo a lamentarci di come vadano le cose, e troppo poco a cambiare i nostri costumi personali». Costruire una comunicazione sana, basata su ascolto, rispetto e civismo, è un processo in continuo divenire. È una costruzione mentale, che si riversa nella realtà quotidiana. Ingentilisce i costumi, bonifica l’ambiente sociale e ci rende persone più libere. Dalla necessità di odiare, in rete e conseguentemente in real life.
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