“Non si sentiva al sicuro” tanto da aver paura a girare per le strade – racconta Rayan, che lo ha conosciuto per un anno.
“Prima abitavamo in un’altra casa -prosegue Rayan- abbiamo dovuto lasciarla solo perché siamo gay. Le persone ci fissavano in continuazione. Abbiamo fatto qualcosa di immorale? Cinque mesi fa, un gruppo ha rapito Wisam a Fatih. Lo hanno portato in una foresta, l’hanno menato e stuprato. Stavano per ucciderlo ma Wisam si salvò saltando sulla strada. Ci lamentammo con la Polizia di quartiere, ma non accadde nulla”.
“Quella notte -racconta Gorken, un altro amico- Wisam è uscito di casa. Eravamo già in ansia a causa delle minacce. Gli abbiamo detto di non andare, ma lui ha risposto che sarebbe stato fuori 15-20 minuti. Non è tornato a casa per tutta la notte. Il giorno successivo eravamo nel panico perché non riuscivamo a contattarlo. Siamo andati all’ASAM (associazione di solidarietà per migranti e richiedenti asilo). Ci hanno indicato la questura di Fatih”.
Alla fine a Yenikapi hanno ritrovato ciò che rimaneva di Wisam: “Lo abbiamo identificato dai suoi pantaloni”. “Chi sarà il prossimo?” si chiedono.
La storia di Wisam si inserisce nella cornice di violenza e paura che attorno alla comunità lgbt turca. Giusto un mese fa il Pride ad Instanbul è stato accompagnato dall’arresto di 15 manifestanti (liberati la sera dopo un lungo presidio). La precaria sicurezza delle persone lgbt in Turchia ha, già in passato, destato l’attenzione dell’Unione Europea. L’Ue ha infatti siglato un accordo per il quale la Turchia riceverà un cospicuo finanziamento purché accetti che i migranti che arrivano in Grecia vengano rimandati sul suo territorio. Il rischio, per comunità lgbt, è altissimo.
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