A due anni dall’approvazione delle unioni civili, si può tentare di fare un bilancio su come esse abbiano cambiato le nostre vite e su quale sia stato il loro impatto, culturale oltre che giuridico, nella quotidianità delle persone Lgbt. Sono stato da sempre molto critico nei confronti di questa legge. Continuo ad esserlo anche oggi, pur avendola difesa quando era il momento di approvarla, nonostante i limiti che essa conteneva e nonostante le modalità con cui è stata concessa dalla classe politica. Spiego perché.
Premetto da subito che le mie critiche non vanno nella direzione del “tutto e subito”, come spesso accusano gli “entusiasti” – e mi si permetta di togliermi un sassolino: considero analfabeti della politica quanti usano certi argomenti – bensì in quella del “poco e tardi”. Altra premessa: la critica alla legge non va considerata un attacco alla felicità delle persone. Sono stato a diverse unioni civili e ho partecipato con gioia ed emozione al “sogno che si avvera” di amici e amiche. Una critica onesta investe, invece, i limiti dell’azione legislativa e le ragioni politiche che li hanno prodotti.
Sulle zone d’ombra della legge rimando a quanto sottolineato da Gaylex. Sulle ragioni politiche per cui la legge è e resta insufficiente, il discorso ufficiale è quello dell’inevitabilità dei suoi limiti: in Senato i numeri erano risicati, il M5S è quello che è (un po’ omofobo e un po’ cialtrone) e la destra italiana non fa sconti a nessuno. Credo che questi argomenti confondano le conseguenze con le cause. Al di là dell’azione meritoria di Monica Cirinnà – e senza togliere comunque meriti a chi in parlamento per l’approvazione di questa legge si è battuto come un leone – credo che il Pd e Renzi in primis abbiano voluto ridurre al minimo il “danno”. In un contesto internazionale che ci obbligava a legiferare in merito, con i sindaci che registravano i matrimoni contratti all’estero e con le corti che scaldavano i motori.
Il “male minore” era, dunque, una legge che metteva in salvo la parola matrimonio – e così fai contenti i cattolici a cui per altro si è dato il via libera su tutto, a partire dalla genitorialità – e che lasciava permanere alcune sacche di discriminazione rispetto a una società in cui i soggetti “dentro la norma” (gli eterosessuali o presunti tali) mantenevano una posizione di privilegio. La ragione politica che ha prodotto questa legge sta nell’ufficializzazione di una discriminazione, per quanto limitata, che prima era “di fatto” mentre adesso è “di diritto”. Anche se il prezzo da pagare era concedere qualcosa.
Quel qualcosa è stato concesso: le unioni civili, appunto. E ci hanno venduto il pacchetto come grande passo avanti di civiltà. Si converrà che i diritti elargiti dall’alto sono gentili concessioni, per quanto alcuni dei loro effetti siano anche positivi. Ma ciò non elimina le ragioni di una subalternità tra persone “normali” e comunità Lgbt. Anzi, istituzionalizza quella asimmetria. E se il potere concede, il potere può togliere. Il vulnus politico e culturale di quella legge sta anche in tale aspetto. Se abbiamo paura che basti un cambio di governo per nullificare quanto faticosamente ottenuto, stiamo ammettendo a noi stessi/e che la natura del cambiamento non è rivoluzionaria o strutturale, ma dipende, appunto, dalle concessioni della politica.
Da questa considerazione, nasce una domanda: le unioni civili hanno prodotto una reale cultura della differenza? Uno degli argomenti che si poneva a difesa della legge era quello della quotidianizzazione delle coppie gay e lesbiche. Ma siamo sicuri che sia andata proprio così? La classe politica continua a ignorarci: basta vedere i programmi dei partiti nelle ultime elezioni. I pride sono accolti – dentro e fuori la nostra comunità – come baracconate, anche nella stessa narrazione politica. Le aggressioni e i pestaggi continuano ad essere, pressoché indisturbati. L’omogenitorialità è vista come un’apocalisse sociale. Mi chiedo se la legge Cirinnà non abbia più che altro preso atto di un fenomeno che già c’era, cristallizzandolo. Le coppie gay e lesbiche già c’erano ed erano visibili, d’altronde. La società, nel suo complesso, è davvero divenuta più benevola?
Un’ultima questione, infine, riguarda il nostro movimento che sembra si sia assopito rispetto alla lotta e alla rivendicazione. Come se, una volta mangiati i confetti, si siano dimenticati i cannoni. Eppure lo scopo delle associazioni dovrebbe essere la rimozione delle discriminazioni e la creazione di un processo culturale che porti alla liberazione dall’oppressione eteronormativa. Al di là dell’azione meritoria di singole realtà, il movimento Lgbt italiano – per non parlare della comunità che lo produce – è rimasto praticamente inerme.
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