Di Simone Alliva
Giornalista de “L’Espresso”
Entra in punta di piedi e con un po’ di pudore l’amore gay nelle case degli italiani. Lo fa per la prima volta grazie al programma di Maria De Filippi “Uomini e Donne”, la versione omosessuale del fortunatissimo reality sul corteggiamento all’italiana. Molte persone LGBT contestano il fatto che non sia questo il modo di rappresentare la comunità che è varia e certamente non si può ridurre ad un mondo di giovanotti muscolosi e tatuati. Eppure il giudizio andrebbe sospeso. La complessità e la delicatezza della vita delle persone giovani gay, lesbiche e trans merita ascolto, prima di tutto, e uno sforzo grande di comprensione. Personalmente mi ero preparato ad una grandissima delusione: mi aspettavo personaggi stereotipati, esagerazioni, liti da portineria. E invece.
Questo show non è perfetto ma apprezzo il fatto che sia una copia carbone dalla versione originale di Uomini e Donne, l’unica differenza è un cast completamente maschile. Non porta certo ad una rivincita della comunità LGBT su una storia televisiva fatta di omofobia e machismo, sessismo e pregiudizi. Eppure nel Belpaese abituato a non disturbare i vicini oltretevere -cardinali, prelati, papi- a non sovvertire l’ordine perfetto della famiglia naturale composta da uomo e donna, il semplice rappresentare un frammento dell’Italia gay fa l’effetto di una bomba. Durante la prima puntata c’è il corteggiatore che gioca a calcio e, senza nascondere l’emozione, confessa al tronista: “i miei compagni di squadra non sanno di me. Ma adesso, beh adesso sì”. È la rappresentazione piena dell’Italia che vivono i giovani gay oggi. Di quello che c’è all’inizio, prima di togliere la maschera: la paura del giudizio degli altri, quella paura che bisogna attraversare per farla diventare coraggio. Il pregio che potrebbe avere questo show è molto semplice: quello di dimostrare che i “ragazzi stanno bene”, le persone omosessuali sono in grado di essere monogame, se lo vogliono, e che questo bisogno di monogamia lo cercano a tutti i costi. E poco importa la rappresentazione volgare della comunità gay che ha fatto questo parlamento negli ultimi mesi, non bastano le urla e le menzogne, cento Adinolfi avvelenati non valgono lo sguardo limpido di un ragazzo che cerca la scintilla nello sguardo di un altro ragazzo.
Poi ci sono i difetti: la rappresentazione della comunità gay ridotta ad un insieme di ragazzi maschili, muscolosi, tatuati. La copia carbone del “tronista tipo” che da Costantino Vitagliano ad oggi ha rappresentato il modello da seguire, tutto il resto uno scarto. Eppure, occhi negli occhi, questa discriminazione è già ben presente anche all’interno della comunità LGBT, lontana dalle telecamere e dai riflettori. Lo show non è privo di difetti insomma: ad esempio non ci sono gay magri, di colore, ragazzi della porta accanto, queer. E per adesso pecca anche di una grande assenza: le donne lesbiche. Dove sono? Ci sarà mai un trono lesbo oppure questo sarebbe troppo per una nazione dove il machismo regna sovrano?
Per adesso il programma è una “zona grigia” che tiene insieme, via via sfumandole, una gamma di stereotipi etero ma anche gay: l’omosessuale curato, palestrato, sensibile. Ma tutto questo è criticabile? Per la prima volta nella storia della televisione italiana viene rappresentato l’amore gay o almeno la ricerca dell’amore gay che è solo questo, niente etichette. Mentre fino a pochi mesi fa la comunità gay passava per programmi osceni come “Ciao Darwin”. Insomma la speranza è che si migliori perché la vita è altrove, la vita è avanti. Un’esterna (cioè un appuntamento romantico tra il tronista e il corteggiatore che avviene spesso all’aperto) potrebbe squarciare un velo sulla quotidianità gay. Due uomini che tranquillamente si tengono per mano su via del Corso è possibile? Una discriminazione culturalmente delicatissima che sarebbe bello vedere demolita in televisione. La domanda finale è: un programma televisivo può fare qualcosa? Ogni famiglia italiana vive nell’angoscia del futuro dei propri figli. Pensate che rivoluzione sarebbe dare una risposta proprio a loro, cioè a ciascuno di noi. Pensate che bello sarebbe poter dire ai genitori che non si informano tramite giornali o internet, che non cambia nulla per i loro figli. Che magnifica sorpresa sarebbe comunicare: i ragazzi stanno bene. Gay o etero, non cambia nulla, le pene d’amore sono sempre le stesse.
(nella foto di copertina Mattia Manfrin, uno dei corteggiatori)
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