Un sociologo dell’Università di Cincinnati ha illustrato i risultati di uno studio sugli uomini omosessuali e il linguaggio del corpo sul posto di lavoro.
Travis Dean Speice, questo il nome del sociologo, ha scoperto che gli uomini gay modificano il loro linguaggio corporeo o l’abbigliamento quando si trovano sul posto di lavoro per evitare di essere visti come “troppo gay”. Lo studio ha preso in considerazione 30 uomini con i quali il sociologo ha discusso di mascolinità, omosessualità e dei loro ruoli a lavoro.
“Per molti uomini omosessuali che ricoprono ruoli professionali – scrive il sociologo in un comunicato stampa – ci sono molti motivi di ansia legati all’identità manageriale e alla presentazione di se stessi”.
“Dall’intervista iniziale a proposito della possibilità di avanzare di carriera, emerge che se un gay percepisce che il suo superiore non accetta la popolazione omosessuale, può decidere di non rivelargli la sua sessualità – continua Speice -. Piuttosto, potrebbe tastare il terreno con una serie di trategie, compreso preoccuparsi di come si veste, del modo in cui parla e se parlare o no della sua sessualità con altre persone sul posto di lavoro”.
“Succede – spiega – quando non si sentono al sicuro nell’essere se stessi davanti a certi superiori o colleghi. Sebbene molto omosessuali fanno carriera dove sono rispettati e accettati per quello che sono, molti altri sentono di doversi nascondere, modificare o eliminare le caratteristiche del proprio comportamento, come il modo in cui parlano, agiscono e si vestono, per scegliere modi più ‘professionali’ (che in questo contesto significa ‘più mascolino’ e eteronormativo, spiega)”.
Gli intervistati hanno spiegato che il loro non è un tentativo di apparire meno autentici, ma semplicemente non vogliono che la loro sessualità influisca sulla condizione di lavoro.
Il sociologo ha rilevato che alcuni evitano colori troppo brillanti nei vestiti e che persone abituate ad usare “ampi gesti delle mani”, si limitano pensando che questo equivalga ad aumentare la propria mascolinità.
Intervistato da Gay Star News, Speice ha spiegato di non aver chiesto espressamente agli intervistati se il loro comportamento al lavoro fosse causa di ansia, ma che “alcuni uomini mi hanno raccontato del disagio che provano quando sono al lavoro, specialmente se non sono dichiarati, al contrario di quanto avviene in altri ambiti della loro vita”.
Nel 2014 l’organizzazione statunitense Human Rights Campaign ha condotto uno studio dal quale è emerso che il 53 per cento dei lavoratori lgbt negli Usa non è dichiarato sul posto di lavoro, un dato che però sembra essere calato negli ultimi anni.
La Equal Employment Opportunities Commission (EEOC), spiega Gay Star News, ha diffuso lo scorso aprile alcuni dati secondo cui nei dodici mesi precedenti c’è stato un incremento del 28 per cento nelle denunce di discriminazioni da parte di lavoratori lgbt. Secondo la commissione, questo è collegato al fatto che sono aumentati i casi di coming out a seguito della sentenza sul matrimonio egualitario emessa dalal Corte Suprema a giugno del 2015.
In Italia l’unica indagine quantitativa sul tema, ad oggi, è stata “Io sono io lavoro” condotta nel 2011 dal dott. Raffaele Lelleri per Arcigay.
Così come in USA anche in Italia più della metà delle oltre 2000 persone lgbt intervistate non è completamente visibile sul lavoro.
In merito all’identity management, invece (ovvero lo stretto controllo delle proprie informazioni personali sul lavoro per non svelare il proprio orientamento sessuale) ben il 46,5 per cento del campione di oltre 1300 uomini gay intervistati nella ricerca italiana ha confermato che adotta questa strategia di coping.
Nella ricerca italiana emerge infine che il fenomeno dell’under-reporting degli episodi di discriminazione (ovvero la tendenza a non denunciarli) è molto diffuso.