Non c’è dubbio: da quando il tabù del sesso ha lasciato il posto a quello della morte le storie d’amore hanno dovuto affrontare tutta una nuova serie di problemi. Un disagio che si è ben riflesso nel cinema il quale, dopo una lunga, lunghissima tradizione di romanticismo si è dovuto confrontare con il fatto che la componente emotiva di un rapporto, se e quando presente, può tranquillamente essere rimpiazzata dalla comunione dei corpi, senza altri tipi di implicazioni. Il sesso nel duemila è al contempo strumento di potere e mela e serpente del giardino dell’Eden. La verità è che il sesso ci fa paura, un po’ ce l’ha sempre fatta. Probabilmente proprio a causa di queste istanze il sesso nei film sta iniziando ad essere esplorato in chiave più cupa e fortemente realistica, forse proprio per dare una spiegazione a ciò che non può essere razionalizzato. In passato la lussuria del grande schermo ha condotto necessariamente ad uno sviluppo romantico che potremmo definire tradizionale ma, con la necessità di dar voce a storie “moderne” che affrontano gli intrecci amorosi (ed i nuovi tipi di intrecci amorosi) con un’onesta a volte disarmante, l’atto sessuale si è liberato da quella componente di coinvolgimento impartitaci dalla Hollywood dei tempi d’oro.
Weekend, seconda avventura cinematografica del talentuoso Andrew High, indaga i paradossi e le discrepanze dell’identità omosessuale post identità politica, evitando il superfluo ed i cliché tipici della cinematografia del genere a vantaggio dell’apparente banalità dell’attrazione sessuale e delle sue (eventuali) conseguenze. Girato con un budget ridotto in poco più di due settimane, il lungometraggio senza pretese ma estremamente sicuro di sé osserva in maniera sincera, quasi documentaristica, il trasformarsi della one-night stand di due giovani uomini inglesi in qualcosa di più serio. Girato sotto lo struggente cielo di Nottingham, il titolo vede l’affidabile ma avveduto Russell (Tom Cullen) intento a concludere la sua serata in un locale gay, per svegliarsi la mattina seguente nel suo appartamento in compagnia di Glen (Chris New), un moderno e disincantato bohémien dalla battuta pronta. Dopo una notte di sesso Glen tira fuori un registratore ed impone a Russell di mantenere la promessa fatta la sera prima: descrivere il loro incontro (che il pubblico non ha avuto modo di visualizzare). Russell non è a proprio agio a parlare in modo esplicito, Glen d’altra parte sembra essere ben conscio di sé stesso e dello scopo del suo progetto, determinare cosa impedisce ad un omosessuale di essere ciò che vuole essere. Se Glen vive con orgoglio la sua omosessualità, tanto da rispondere con violenza agli insulti omofobi gridati da un ragazzo per strada, Russell si dice felice con se stesso solo nella sicurezza del suo appartamento, non esposto al giudizio della strada. È particolarmente interessante notare come Russell descrive la paura di essere giudicato sulla base dell’orientamento sessuale come “una sensazione simile ad un’indigestione” – una similitudine piacevolmente efficace. Nel pomeriggio, quando Glen torna a casa di Russell, vediamo per la prima volta la coppia, anzi i due, fare sesso. La semplice intimità di due persone attratte l’una dall’altra. Russell non è del tutto a proprio agio ma, spinto dall’attrazione per un ragazzo che pensava, come dichiara apertamente, al di fuori della sua portata, si fa trasportare dal “compagno” in un rapido ed intenso susseguirsi di sesso, droghe e soprattutto parole. Infatti, durante la loro seconda notte insieme, i due protagonisti si tolgono le rispettive armature, mettendo a nudo le insicurezze di due uomini gay in un mondo etero. Pur intuendo l’epilogo, lo spettatore continua a sperare che il Titanic viri in tempo evitando l’iceberg, ma questo dramma emotivo dal sapore tremendamente realistico ci ricorda che, molto spesso, la vita non si risolve come una commedia romantica.
Forte della massima “l’amore è uguale per tutti” Andrew Haigh si dimostra da subito un cineasta dalla forte personalità ed in possesso della giusta sensibilità per portare sullo schermo l’intima e delicata relazione tra i suoi personaggi. Che si tratti di televisione o cinema il regista trasforma le piccole emozioni quotidiane in pietre miliari della vita dei suoi protagonisti. Sceneggiatore dal gusto impeccabile, A.H. dirige magistralmente i suoi meravigliosi attori permettendoci di intuire le precise scelte stilistiche (primi e primissimi piani ripresi con la macchina da presa a mano, colonna sonora pressoché assente e condivisione dell’inquadratura a sfavore del sistema ‘campo e controcampo’) che hanno accompagnato un lavoro incredibilmente minuzioso in termini di movimenti, teneri sorrisi e sguardi degli attori. Haigh crede fermamente nella purezza dei sentimenti e dei momenti di vita unici, a prescindere da dove questi conducano. Una pellicola meno “coraggiosa” si sarebbe affrettata a fornire allo spettatore tute le risposte, preoccupandosi di soddisfare il bisogno di rassicurazione e di ordine del pubblico. Ma Weekend rimane fedele alla natura instabile ed imprevedibile della naturale esperienza dell’amore evitando di appagare la brama degli spettatori con un epilogo eccessivamente felice o tragico. La pellicola risulta una delle storie d’amore più appaganti, oneste ed intense degli ultimi anni.
Il lungometraggio debutta oggi nelle sale italiane (a cinque anni dalla sua presentazione negli Stati Uniti) in sole 10 copie. La distribuzione Teodora Film avrebbe sperato di avere più sale a disposizione ma l’affollamento di titoli e lo scandaloso (quanto inconsistente) giudizio negativo della Commissione Nazionale Valutazione Film della CEI (“sconsigliato, non utilizzabile/scabroso in quanto legato solamente alle tematiche droghe ed omosessualità”) ha precluso l’accesso a molte sale del “circuito d’autore.” L’unica speranza per rendere possibile una più ampia diffusione della pellicola nel corso della seconda settimana di programmazione è che il film raggiunga una buona media di incassi nel primo weekend. Non avete più scuse, potete trovare a questo link l’elenco delle sale di programmazione ed i relativi orari, vi assicuriamo che saranno 97 minuti ben spesi.
“… per questo affermo serenamente che la CEI fa schifo”
Cesare Petrillo, responsabile Teodora Film