La tematica Lgbt può servire a dar nuova veste alle più classiche e canoniche narrazioni di genere (cinematografico), e perciò, ad esempio, svecchiare il caro vecchio ed inflazionato thriller. Ciò accade in Women who kill di Ingrid Jungermann, presentato al Tribeca Film festival 2016 e approdato in Italia al Lovers Film Festival di quest’anno.
Un incontro fatale
Morgan e Jean conducono un programma radiofonico di cronaca nera chiamato “Women who kill”. Nonostante la loro relazione sia finita, a causa delle fobie della prima per i legami troppo stretti e duraturi, continuano a frequentarsi professionalmente. Quando Morgan incontra Simone, una misteriosa e seducente ragazza senza un passato, se ne innamora follemente. Ad incrinare il rapporto tra le due neo-amanti sopraggiungono dei sospetti, apparentemente infondati, che additano Simone come assassina seriale, oltre che figlia di una pluriomicida finita in carcere per difendere la figlia.
Fuori dal cliché romantico
Una narrazione tutta al femminile, e un intreccio che si dipana in un ambiente circoscritto popolato esclusivamente da una “comunità lesbica” radicata e affiatata (conoscenti, migliori amiche, fidanzate ed ex), dove non c’è spazio per gli uomini, se non nel ruolo di ripiego sessuale per Jean, che da lesbica si rivela bisessuale. L’idea di Jungermann è interessante, se non altro perché sceglie di allontanarsi dal cliché della commedia romantica a sfondo LGBT: di amore si è parlato all’esasperazione, è arrivato il momento di farsi largo nel genere più maschilista e pregiudizievole della letteratura e del cinema. Investigatori, poliziotti, assassini, sono sempre uomini, raramente la giustizia viene rappresentata al femminile.
Le donne lesbiche al centro della scena
La donna tende ad essere la spalla del commissario, o l’avvocato difensore di un maniaco egocentrico e megalomane; in Woman who kill sono le donne a mostrare la lor superiorità, senza rinunciare all’ironia e ad una sfilza di gags a sfondo sessuale, anche esse elaborate con il solo scopo di dimostrare quanto anche il genere femminile sappia essere scorretto ed indelicato. Le lesbiche portate sullo schermo danno un’idea variegata e, fondamentalmente, mai macchiettistica o ridicolizzante, dei “tipi” di donna omosessuale, ruoli che, inoltre, sono comodamene applicabili e rintracciabili nella totalità dell’universo femminile: la camionista sboccata, la fidanzata devota, l’indecisa, l’eterna goliardica terrorizzata dai legami seri e duraturi.
Luci e ombre della narrazione
Purtroppo, Jungermann sembra interessarsi talmente al contenitore del film e alla caratterizzazione dei personaggi, da perdersi nella costruzione dello storytelling, che finisce per dimostrarsi debole e per nulla funzionale, retoricamente poco originale. La regista dimentica di curare nel dettaglio i punti di snodo della vicenda, senza soffermarsi sulle fasi cardine della narrazione thriller: si appella parsimoniosamente all’aiuto della suspense, che rilega a piccole comparsate inopportune, non delinea un accattivante profilo psicologico dell’assassino che possa far presa sul pubblico, ma soprattutto lascia troppi non detti e non chiude un tipo di narrazione che necessita di un punto fermo che ne dichiari la sua conclusione. Perciò, Women who kill oscilla tra sufficienza e insufficienza; curato ed innovativo nell’idea, ma disorganizzato e poco maturo nel racconto e nello stile, annacquato e precariamente stabile.