Si terrà al Parco Leonardo l’8 e il 9 novembre prossimi l’edizione 2017 del World Usability Day, organizzato dalla Experience Design Agency romana Nois3. Speaker da tutto il mondo, workshop e talk tutti con un unico filo conduttore: design inclusivo e tecnologia per tutti.
“Design inclusivo: progettare con tutti i generi in mente” è, invece, il titolo del talk di Anat Katz-Arotchas ex componente del team dell’Unione Europea che si è occupato di innovazione e genere, oltre che fondatrice di XX-UX Israel, una comunità di donne che promuove il bilanciamento di genere nel campo della user experience. La si potrà ascoltare il 9, insieme ai talk su “design inclusivo nei luoghi di lavoro”, “decentralizzare il design per l’inclusione” e dei “miti e leggende” sull’inclusione nella user experience.
Abbiamo intervistato Carlo Frinolli, co-fondatore e CEO di Nois3, per capire cosa c’entra l’inclusione con il design e la user experience.
Per il secondo anno il WUD di Roma parla di inclusione. Cosa c’entrano il design e la user experience con l’inclusione delle comunità percepite come minoranze?
Quando parliamo di design, ovvero di progettazione, e user experience preferiamo riferirci ai dettami dello Human Centered Design, quindi progettazione centrata sulle persone, per cui la prima domanda che ci dobbiamo porre è per chi stiamo progettando: quali sono i loro bisogni, le motivazioni e le barriere a cui vanno incontro. Da qui c’è una risposta ovvia e un po’ cinica che mi viene da darti: membri delle comunità percepite come minoranze sono anch’essi potenziali utilizzatori di servizi e prodotti; per cui non sarebbe solo ingiusto ma anche controproducente escluderli o ignorarli.
Come possono design e UX guardare alle esigenze delle persone LGBT+?
Investigandole, facendo ricerca, parlandoci. Sembrano risposte ovvie, ma non lo sono. Le esigenze delle persone sono tutte peculiari, non esiste l’utente medio. Per ciascuno dei servizi o prodotti di cui è richiesta progettazione sarà importante comprendere le esigenze delle persone ai fini progettuali, naturalmente rispettando tutte le altre e non pretendendo che ci si confaccia a un modello dominante. Non succede sempre così, ma come ci spiegherà Anat Katz-Arotchas nel nostro primo keynote, progettare senza avere preconcetti (in gergo tecnico bias) può avere degli effetti positivi e inaspettati anche rispetto al successo stesso della nostra attività. Insomma, perché farsi del male?
Perché le aziende dovrebbero andare oltre la semplice usabilità tecnicamente intesa e puntare all’inclusione?
Per alcune ragioni etiche, ovviamente, ma soprattutto perché l’inclusione che mira all’adozione su un modello dominante di società, non è un modello di inclusione ma di assimilazione. Significa imporre alle persone la propria idea e non incentrare la progettazione sulle persone. Non solo non è giusto, ma non paga.
Negli ultimi anni si registra più attenzione per le minoranze, in termini di progettazione e user experience?
Sul concetto di minoranza un colosso dell’economia digitale ci ha costruito un impero economico. Il concetto delle nicchie, della coda lunga e delle necessità non standardizzate ha contribuito al successo di Amazon. Secondo il mio punto di vista una minoranza, termine che non amo se non in contesti strettamente quantitativi e numerici, è una nicchia di persone accomunate da alcune caratteristiche condivise. Queste caratteristiche vanno considerate come un fattore se sono utili al contesto in cui stiamo progettando. Altrimenti dubito che i designer debbano preoccuparsi delle scelte di vita di queste persone, insomma sono progettisti non devono giudicare.
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